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L’avviso della conclusione delle indagini preliminari ex art. 415 bis Cpp e l’istituto della prescrizione nel diritto penale

L’avviso di conclusione delle indagini preliminari ex articolo 415bis Cpp non costituisce un atto che interrompe la prescrizione del reato ai sensi e per gli effetti dell’articolo 160 Cp. Lo stabiliscono le Sezioni unite penali della Corte di cassazione con la sentenza 21833/07 (pubblicata sul quotidiano dello scorso 8 giugno).

IL CONTRASTO GIURISPRUDENZIALE FORMATOSI IN EPOCA RECENTE
La questione sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite penali, attiene alla problematica se l’avviso all’indagato di conclusione delle indagini preliminari ex articolo 415bis Cpp, abbia o meno efficacia interruttiva del corso della prescrizione.
L’orientamento giurisprudenziale maggioritario1, ha sempre escluso invero, che l’avviso ex articolo 415bis Cpp, potesse essere ritenuto atto interruttivo a causa della tassività dell’elenco degli nell’articolo 160 Cp e del divieto di analogia in malam partem in materia penale.
Ragionando in questi termini, in alcun modo l’interrogatorio dell’indagato effettuato dalla Polizia Giudiziaria, delegata dal Pm ex articolo 370 Cpp può essere ritenuto atto idoneo ad interrompere il corso della prescrizione.
In tempi più recenti parte della giurisprudenza2 , ha invece affermato che l’avviso ex art. 415bis Cpp interrompa il corso del termine prescrizionale. Ed invero l’invito del Pubblico Ministero a rendere l’interrogatorio, atto incluso nell’elenco di cui all’art. 160 c.p. è contenuto nell’avviso della conclusioni delle indagini ex articolo 415bis Cpp notificato all’indagato, nella parte in cui contiene l’avvertimento che l’indagato ha facoltà di essere interrogato.
Se dunque il disposto normativo di cui all’articolo 160 Cp avuto riguardo all’invito del pubblico ministero a presentarsi per rendere interrogatorio, ante riforma del 1988 andava riferito unicamente alla disposizione di cui all’articolo 375 Cp dopo la modificata intervenuta nel 1999 dell’articolo 416, comma 1 Cpp, la norma di cui in parola va riferita altresì alla norma processuale di cui all’articolo 415bis Cpp, richiamata unitamente a quella di cui all’articolo 375 Cpp dal nuovo testo dell’articolo 416, coma 1 Cpp.
Diversamente, risulterebbe che verrebbe rimessa alla volontà dell’indagato innocente l’emissione da parte del pubblico ministero dell’atto interruttivo della prescrizione, con la conseguenza che quest’ultimo che sollecita il proprio interrogatorio per esporre le proprie difese sarebbe posto in condizioni deteriori rispetto all’indagato che sa di essere colpevole ed elude le investigazioni.

L’AVVISO DI CONCLUSIONE DELLE INDAGINI PRELIMINARI EX ARTICOLO 415BIS CPP E LA NATURA SOSTANZIALE DELL’ISTITUTO DELLA PRESCRIZIONE
Al termine delle indagini preliminari il pubblico ministero che non ritiene di chiedere l’archiviazione, deve far notificare alla persona sottoposta alle indagini ed al suo difensore un avviso di conclusione delle medesime contenente la sommaria enunciazione del fatto per cui si procede, delle norme di legge che si assumono violate e della data e del luogo di presunta commissione del fatto. L’avviso deve altresì contenere l’avvertimento che la documentazione delle indagini è depositata nella segreteria del pubblico ministero e che l’indagato ed il suo difensore hanno facoltà di prenderne visione ed estrarne copia. Nondimeno l’indagato ha entro venti giorni la facoltà di presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relativa ad investigazioni del difensore, chiedere al pubblico ministero il compimento di atti di indagine, nonché di presentarsi per rilasciare dichiarazioni ovvero chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio.
L’avviso costituisce uno degli atti ricettizi che consente all’indagato e al difensore, ancora nella fase delle indagini preliminari, di avere una conoscenza ufficiale degli estremi del procedimento e del fatto oggetto dello stesso.
Normalmente al decorso del tempo l’ordinamento ricollega effetti giuridici. La prescrizione del reato è una causa estintiva, caratterizzata dal decorso del tempo senza che alla commissione del reato segua una sentenza di condanna irrevocabile3.
Ed invero con il decorso del tempo, appare inutile l’esercizio della funzione repressiva, perché vengono a cadere le esigenze di prevenzione generale che presiedono alla repressione dei reati.
Difatti l’ordinamento utilizza termini di prescrizione differentemente proporzionati alla gravità dei reati.
Nel diritto penale,esistono due specie di prescrizioni:la prescrizione del reato e la prescrizione della pena. L’elemento discriminante, è dato dal fatto che non sia intervenuta oppure no, una sentenza irrevocabile di condanna.
L’articolo 157 Cp prevede che la prescrizione si realizzi in venti anni se si tratta di un delitto punito con una pena non inferiore a ventiquattro anni; in quindici anni se si tratta di un delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore a dieci anni; in dieci anni se si tratta di un delitto punito con una pena non inferiore a cinque anni; in cinque anni, se si tratta di un delitto punito con la pena della reclusione inferiore a cinque anni, o la pena della multa; in tre anni se si tratta di contravvenzione per cui la legge stabilisce l’arresto;ed infine in due anni, se si tratta di contravvenzione per cui la legge stabilisce la pena dell’ammenda.
L’istituto della prescrizione come stato autorevolmente sostenuto4, trova dunque il suo fondamento razionale nell’interesse generale di non più perseguire i reati rispetto ai quali il lungo tempo decorso dopo la loro commissione abbia fatto venire meno o notevolmente attenuare l’allarme della coscienza comune e con esso ogni istanza di prevenzione generale e speciale.
Orbene quando al reato non segue, si ribadisce, un accertamento giudiziale definitivo, entro un periodo di tempo determinato dalla legge, il reato si estingue e, nessuna azione penale può essere iniziata o proseguita. Pertanto lo Stato rinuncia alla pretesa punitiva e viene meno la assoggettabilità a pena di colui che ha commesso il reato.
Questo rilievo processuale non deve però trarre in inganno quando ci si interroga sulla natura della prescrizione.
Va rilevato che il legislatore ha ritenuto che fosse opportuno interrompere il corso della prescrizione con un aumento dei termini prescrizionali secondo lo schema disposto dall’articolo 157 Cp, quando fossero stati posti in essere atti fondamentali del procedimento penale che rendessero manifesto il persistere, nonostante il tempo trascorso dalla commissione del fatto, dell’interesse statuale alla attuazione della pretesa punitiva.
Ma per individuare il momento in cui si produce l’interruzione della prescrizione del reato occorre avere riguardo a quello in cui si è posto in essere uno degli atti previsti dall’articolo 160 Cp.

LE CONCLUSIONI DELLA SENTENZA IN COMMENTO
La Corte nella sentenza in commento5 con un iter argomentativo piuttosto logico non fa che riconfermare quanto già affermato nella nota sentenza Brembati del 20016. Ed a tal proposito,osserva che l’istituto della prescrizione trova la sua ragion d’essere nell’interesse generale dello Stato di non perseguire i reati rispetto ai quali il lungo tempo decorso dopo la loro commissione abbia fatto venir meno o notevolmente attenuare l’allarme della coscienza comune e con esso ogni istanza di prevenzione generale e speciale.
Tale assunto denota chiaramente che, la volontà dello Stato in caso di prolungata inerzia dei pubblici poteri sia orientata nel senso di non avere più interesse a perseguire penalmente un determinato fatto-reato con la inevitabile conseguenza dell’estinzione del reato sancita dall’articolo 157 Cp.
A ciò si aggiunga che, finalità dell’istituto della prescrizione è invero, anche permettere una durata ragionevole del processo penale come previsto dall’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nonché dall’articolo 111 Costituzione come novellato dalla legge costituzionale 89/2001.
Ma nel contempo il legislatore ha ritenuto idoneo interrompere il corso della prescrizione con un sostanziale aumento dei termini prescrizionali secondo lo schema previsto dall’ultimo comma dell’articolo 157 Cp quando fossero stati posti in essere atti fondamentali del procedimento penale che rendessero manifesto il persistere dell’interesse statuale all’attuazione della pretesa punitiva.
In principio il progetto preliminare del nuovo codice penale prevedeva al comma 1 dell’articolo 161 Cp che, qualsiasi atto del procedimento penale fosse interruttivo della prescrizione, tuttavia tale impostazione venne presto abbandonata poiché si sostenne che un simile orientamento così rigoroso non avrebbe fatto altro che vanificare il diritto spettante all’imputato.
Si ritenne pertanto opportuno restringere la cerchia degli atti del procedimento penale idonei ad interrompere la prescrizione a quelli veramente fondamentali del procedimento stesso che, in considerazione del loro carattere obiettivo dimostrano la persistenza dell’interesse dello Stato a punire.
E dunque atti fondamentali in quanto adempimenti necessari, in quel contesto processuale, per la progressione del processo stesso verso il momento conclusivo.
Giova altresì ricordare che il legislatore del 1930 dispose che l’inutile decorso del tempo comportasse non più la prescrizione dell’azione penale ma l’estinzione del reato come previsto dall’articolo 157 Cp.
Le considerazioni suesposte chiariscono quindi l’evidente natura sostanziale e non più processuale dell’istituto della prescrizione.
Tutto ciò premesso va osservato che la genesi dell’articolo 160 Cp con la previsione di un meticoloso catalogo delle cause interruttive della prescrizione, sta a significare come il legislatore ritenesse tale elenco tassativo.
E ciò proprio in virtù di evitare che la giurisprudenza allargasse a dismisura la cerchia degli atti capaci di interrompere il corso della prescrizione.
Tale impostazione è stata peraltro rinconfermata dall’articolo 239 del D.Lgs 271 del 1989 che ha modificato l’articolo 160 Cp.
Ed ancora va precisato, come sottolineato dalla dottrina, che gli atti interruttivi della prescrizione si distinguono in quattro categorie a seconda che abbiano natura decisoria, coercitiva, probatoria e propulsiva. Ordunque se si prende in considerazione il nuovo articolo 160 Cp si rileva come tutti gli atti processuali richiamati rientrano nello schema classificatorio indicato e possono essere ritenuti atti fondamentali del processo.
Tuttavia tale impostazione su cui si è attestata la dottrina non è da tutti condivisa dal momento che alcuni ritengono che vi sono determinati atti come la convalida del fermo e l’interrogatorio reso dinanzi all’Autorità giudiziaria che si potrebbe affermare che il loro inserimento nell’elenco sarebbe il frutto di un mancato approfondimento legislativo sui caratteri di fondo della classe atti veramente fondamentali.
Ed ancora si è posto in luce come il fatto che nell’elenco di cui all’articolo 160 Cp non risultino indicati come atti interruttivi della prescrizione la richiesta di giudizio immediato e la richiesta di emissione del decreto penale di condanna desta non poche perplessità e suscita comunque la considerazione che l’elenco di cui all’art. in commento risulta evidentemente incompleto. Ma come osservato correttamente dalla sentenza in commento non è oltremodo sufficiente il rilievo di incompletezza o incongruità dell’elenco per ritenere la scelta del legislatore caratterizzata dalla dovuta razionalità.
Nel suo complesso a ben vedere al contrario si può ritenere che l’esame del catalogo dimostra una sostanziale coerenza del legislatore che ha rispettato l’opzione del 1930 e si è limitato a realizzare il necessario coordinamento fra gli istituti cui il codice abrogato attribuisce efficacia interruttiva della prescrizione ed i corrispondenti istituti del nuovo codice processuale.
Orbene la giurisprudenza che si pone in contrasto rileva al contrario che l’elenco di cui all’articolo 160 Cp non può ritenersi ne completo ne esaustivo non essendo stato in alcun modo integrato in seguito alle modifiche introdotte con numerose leggi approvate successivamente alla sua entrata in vigore nel 1989. Ma come diligentemente osservato dalla pronunce precedenti l’omesso aggiornamento del catalogo di cui al secondo comma dell’articolo 160 Cp è frutto di una consapevole scelta del legislatore.
Ed invero quando lo ha ritenuto necessario, si rammenta che il legislatore ha provveduto ad un sostanziale aggiornamento.
Orbene alla luce dell’analisi suesposta, la sentenza in commento ha rilevato che sia l’interpretazione letterale della norma in discussione sia l’interpretazione logica-sistematica degli istituti della prescrizione e dell’interruzione della stessa, sia l’individuazione dell’intentio legis consentono di sostenere che, conformemente all’orientamento nettamente maggioritario della giurisprudenza e della dottrina, la prescrizione è un istituto di diritto penale sostanziale, fondato sull’interesse generale di non più perseguire i reati rispetto ai quali il lungo tempo decorso dopo la loro commissione abbia fatto venir meno l’allarme sociale e con esso ogni istanza di non più perseguire i reati rispetto ai quali il lungo tempo decorso dopo la loro commissione abbia fatto venir meno l’allarme sociale e con esso ogni istanza di prevenzione generale e speciale7.
Ordunque soltanto gli atti fondamentali che costituiscono un numerus clausus possono interrompere la prescrizione. Pertanto il venir meno della tassatività dell’elenco comporterebbe con la violazione delle riserva di legge in materia penale, la negazione del principio di legalità e la garanzia di determinatezza della fattispecie penale di cui all’articolo 25 Costituzione.
Ed ancora la Corte ribadisce che l’elenco di cui all’articolo 160 Cp non può essere ampliato per effetto di un’interpretazione analogica perché si tratterebbe di un’analogia in malam partem non consentita dall’articolo 14 delle disposizione della legge in generale.
Ma va osservato che la giurisprudenza che si è posta in contrasto con i precedenti orientamenti ha affermato che l’inclusione del disposto di cui all’articolo 415 bis Cpp nel catalogo di cui all’articolo 160 Cp non dovrebbe essere letta in chiave di interpretazione analogica o estensiva e nemmeno di difetto di aggiornamento dell’elenco di cui all’articolo 160 Cp.
Al contrario come osserva la sentenza in commento si tratterebbe di constatare che un atto nominato dall’articolo 160, quale quello previsto dall’articolo 375 Cpp è ontologicamente anche contenuto nell’avviso di cui all’articolo 415bis Cpp, quindi anche in un atto diverso e non menzionato dal predetto articolo 160 Cp. Nella specie nell’articolo 415bis Cpp sarebbe individuabile quell’invito a presentarsi per rendere interrogatorio previsto dall’articolo 160 Cp che ab origine era disciplinato solo dall’articolo 375 Cpp.
Tali affermazioni però sono ampiamente contrastate dalla sentenza in commento che riproduce le conclusioni cui erano già pervenute le Sezioni unite nel 2001.
Ciò posto, in prima analisi va escluso che l’avviso ex articolo 415bis Cpp possa essere considerato atto equipollente o analogo ad altri atti processuali contenuti nell’articolo 160 Cp.
A tal proposito si afferma che l’avviso di cui all’articolo 415bis Cpp non può essere ritenuto ne un atto di natura decisoria, coercitiva probatoria o propulsiva.
Contrariamente, invece, ha contenuto meramente informativo, in attuazione dell’articolo 111 Costituzione secondo cui “la persona accusata di un reato deve nel più breve tempo possibile essere informata della natura e dei motivi dell’accusa”.
Non è ammissibile oltremodo equiparare l’invito a rendere interrogatorio previsto dall’articolo 375 Cpp alla facoltà di presentarsi al pubblico ministero per rendere dichiarazioni e per essere sottoposto ad interrogatorio previsto dall’articolo 415bis Cp, poiché nel primo caso è il Pm che invita l’indagato a presentarsi, con possibilità anche di accompagnamento coattivo per l’indagato che non ottemperi.
Nell’ipotesi di cui all’articolo 415bis Cpp invece è prevista la facoltà dell’indagato di chiedere di presentarsi per rilasciare dichiarazioni o di rendere interrogatorio.
Siamo pertanto di fronte ad un atto non provocato dall’iniziativa del Pm, ma ricondotto ad una volontà dell’indagato. Si tratta pertanto come pacificamente ribadito dall’odierna pronuncia in commento di un atto che si inserisce nella strategia difensiva dell’indagato e che per tale ragione non può assumere alcun rilievo ai fini della volontà dello Stato di perseguire l’illecito.


1 Cfr per una disamina Cassazione sezione V penale, 11 novembre 2004 n. 43952 in Rivista Penale, 2006, 1, p. 115; Cassazione sezione IV penale 3 maggio 2006 n. 15117 in Archivio della nuova procedura penale, 2007, 2, p. 227.
2 Cassazione sezione V 16 giugno 2005 n. 22581 in Guida al Diritto, 2005, 31, p. 71 in cui si legge che l’avviso ex articolo 415 bis del Cpp deve contenere “la sommaria enunciazione del fatto per il quale si procede, delle norme di legge che si assumono violate, della data e del luogo del fatto”, con indicazione, in punto di contestazione del fatto, lessicale e contenutistica diversa da quella indicata invece negli articoli 417, lettera b), e 552, comma 1, lettera c), del Cpp, in tema, rispettivamente, di richiesta di rinvio a giudizio e di decreto di citazione a giudizio (“l’enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza, con l’indicazione dei relativi articoli di legge”).
3 Sull’argomento MOLARI, voce Prescrizione del reato e della pena (diritto penale), in Noviss. Dig. XIII, Torino, 1966; LEONE, Il tempo nel diritto penale sostantivo e processuale, Napoli 1974, p. 135 ss.; PISA, voce Prescrizione, in Enc. dir., XXV, Milano 1986, p. 78; BARTOLO, voce Prescrizione del reato, in Enc. giur. Treaccani, XXIV, Roma 1991; PANAGIA, voce Prescrizione del reato e della pena, in Dig. Disc. Pen., IV, Torino 1995 e Agg. I, Torino 2000, p. 517.
4 FIANDACA G., Diritto penale. Parte generale, Bologna 2007.
5 Cassazione Su penali 5 giugno 2007 n. 21833, in Diritto&Giustizia, 8 maggio 2007.
6 Cassazione Su 11 luglio 2001 in Il Foro Italiano, 2002, 2, p. 92, pt. II
7 In senso conforme Cassazione penale sezione II 26 novembre 1992.

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