Giurisprudenza

Cassazione civile sez. trib. – 31/05/2024, n. 15307

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

Composta da

Dott. LUCIOTTI Lucio           – Presidente

Dott. NONNO Giacomo Maria      – Consigliere

Dott. SUCCIO Roberto           – Consigliere

Dott. SALEMME Andrea Antonio   – Consigliere

Dott. GORI Pierpaolo           – Consigliere Rel.

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13093/2016 R.G. proposto da __________________, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. _________ (Pec: __________________________), domiciliata presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, costituita al solo fine di eventualmente partecipare all’udienza di discussione ex art.370 comma 1 cod. proc. civ.;

– resistente –

nonché

RISCOSSIONE SICILIA Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. ____________________________ (Pec: _____________________), domiciliata presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, sez. staccata di Catania, n.1419/34/2015 depositata l’8 aprile 2015, non notificata.

Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 15 marzo 2024 dal consigliere Pierpaolo Gori.

RILEVATO CHE

  1. Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, sez. staccata di Catania, è stato rigettato l’appello proposto dalla società Ortofrutticola Iblea Srl avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Ragusa n. 750/2/2010 che aveva rigettato il ricorso introduttivo della contribuente contro l’iscrizione a ruolo n. 2008/300010 e, attraverso essa, la cartella di pagamento n.297 2008 000531140 11 di complessivi euro 23.533,28, per il periodo d’imposta 2004, scaturente dal recupero di somme dovute e non versate a seguito di adesione al provvedimento di definizione agevolata, di cui all’art.9 della l. n.289/2002.
  2. Il ricorrente rendeva noto di non aver appreso della pendenza dall’estratto di ruolo e di non aver ricevuto rituale notifica della cartella emessa dall’agente della riscossione all’esito di controllo automatizzato delle dichiarazioni ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600 dei 1973 e dell’art. 54 bis del d.P.R. n. 633 del 1972. Il ricorso introduttivo veniva notificato anche nei confronti dell’Agenzia delle Entrate e, tra l’altro, prospettava la pretesa nullità conseguente a vizi di notifica, l’intervenuta decadenza dall’azione impositiva, la maturata prescrizione quinquennale dei crediti portati da alcune di esse, il vizio di motivazione, l’omessa applicazione del cumulo giuridico con riferimento alle sanzioni, l’errato calcolo dell’aggio e degli interessi di mora sulle somme iscritte a ruolo.
  3. Sia il giudice di prime cure sia il giudice d’appello rigettavano integralmente le doglianze della contribuente, confermando la ritualità della notificazione della cartella di pagamento sottesa all’estratto di ruolo, e l’assenza di violazione degli artt.2 del D.Lgs. n. 462/97 e 6 comma 5 della l. n. 212/2000 e concludevano per la fondatezza della pretesa dell’Amministrazione finanziaria.
  4. Avverso la sentenza d’appello propone ricorso per cassazione la società, affidato ad otto motivi, cui replica l’agente della riscossione con controricorso. L’Agenzia ha depositato mera comparsa di costituzione al fine di eventualmente partecipare all’udienza di discussione ex art.370 comma 1 cod. proc. civ..

CONSIDERATO CHE

  1. Il primo motivo a pag.4 del ricorso prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 26 del d.P.R. 602/73, 45 del d.gs. 112/99, 60 del d.P.R. 600/73 e 137, 141 148 e 210 cod. proc. civ. in materia di notifica dell’atto, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ., per non aver la CTR accertato l’inesistenza della notificazione della cartella impugnata, adempimento perfezionato in luogo diverso dal domicilio eletto, e la conseguente decadenza dal potere di riscossione in capo all’Amministrazione.
  2. Con il secondo motivo denominato “B” a pag.7 del ricorso la società, in relazione all’art. 360 comma 1, nn. 3 e 5 cod. proc. civ., deduce l’omessa e falsa applicazione su un punto decisivo della controversia, nonché la falsa applicazione degli artt. 13 e 148 cod. proc. civ. e 26 del d.P.R. n. 602/73, sempre con riferimento alla nullità o inesistenza della notifica della cartella, in relazione alla relata di notifica esibita dall’agente della riscossione in giudizio.
  1. Con il terzo motivo denominato “B” a pag.8 del ricorso, ai fini dell’art. 360 comma 1, nn. 3 e 5 cod. proc. civ., si prospetta “l’omessa e falsa applicazione su un punto decisivo della controversia, omessa motivazione e falsa applicazione degli artt. 137 e 148 -Inesistenza della copia della cartella”. La ricorrente nella censura in buona sostanza prospetta la nullità della notifica della cartella in quanto la relata sarebbe stata apposta sul frontespizio e non in calce all’atto notificato.
  2. Con il quarto motivo, denominato “C” a pag.10 del ricorso, in relazione all’art. 360 comma 1, nn.3 e 5 cod. proc. civ., viene prospettata “l’omessa e falsa applicazione su un punto decisivo della controversia, omessa motivazione e falsa applicazione inesistenza del debito da condono legge n.289/2002 ed illegittimità della iscrizione a ruolo.”.
  3. Con il quinto motivo, denominato “D” a p.12 del ricorso, in relazione all’art. 360 comma 1, nn.3 e 5 cod. proc. civ., viene dedotta l'”omessa e falsa applicazione su un punto decisivo della controversia, omessa motivazione e falsa applicazione violazione dell’art 6 comma 5 della legge n 212/2000.”. Secondo la contribuente, sarebbe “evidente che a seguito della sopravvenuta inesistenza dell’obbligazione tributaria e, comunque, della assoluta incertezza della liquidazione del tributo nascente dalla dichiarazione di condono fatta dal contribuente, l’ufficio avrebbe avuto l’onere ex art 6 comma v della legge 212/2000, di chiedere informazioni.”.
  4. Con il sesto motivo, denominato “E” a p.13 del ricorso, in relazione all’art. 360 comma 1, nn.3 e 5 cod. proc. civ., si deduce “l’omessa e falsa applicazione su un punto decisivo della controversia, omessa motivazione e falsa applicazione – violazione all’art.2 del D.Lgs. 462/97”, sempre con riferimento al mancato invio dell’avviso bonario.
  5. Con il settimo motivo, denominato “F” a p.14 del ricorso, in relazione all’art. 360 comma 1, nn.3 e 5 cod. proc. civ., si deduce “l’omessa e falsa applicazione su un punto decisivo della controversia, omessa motivazione e falsa applicazione dello statuto del contribuente e dell’obbligo di motivazione e inesistenza della cartella e degli atti propedeutici”.
  6. Con l’ottavo motivo, denominato “G” a p.15 del ricorso, in relazione all’art. 360 comma 1, nn.4 e 5 cod. proc. civ., si prospetta “il mancato esame e difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia – Inesistenza dell’atto di iscrizione a ruolo”, per difetto di legittima sottoscrizione.
  7. Il ricorso è inammissibile. Il ricorrente rende noto nel corpo del ricorso di aver impugnato il ruolo e per esso la cartella di pagamento sottesa, che assume non essere stata ritualmente notificata, avendo appreso della sua esistenza proprio tramite estratto di ruolo. Questo si legge già nelle prime righe del ricorso (“in data 12 maggio 2008 la ricorrente veniva a conoscenza del ruolo esattoriale (…)”) e dalla qualificazione della fattispecie da parte del giudice. A pag.3 del ricorso la contribuente riporta la seguente motivazione espressa dalla CTP: “si qualifica il ricorso contro l’estratto di ruolo e non contro la cartella di pagamento (…)”. Ciò è del resto confermato dal fatto che l’ottava censura fa espresso riferimento all’inesistenza del ruolo specificando a pag.15 del ricorso, che “l’allegato estratto di ruolo nulla riporta in materia, il che lascia presumere che pure il ruolo da cui è estratto non riporti tali dati che sono essenziali”. Le restanti sette censure sono un modo per impugnare, attraverso l’estratto di ruolo suddetto, la cartella di pagamento sottesa.
  1. D’ufficio va quindi rilevato che l’art.3 bis d.l. 21 ottobre 2001 n.146 (Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili), precisato in sede di conversione della l. 17 dicembre 2021 n.215, novellando l’art.12 del d.P.R. 29 settembre 1973 n.602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), ha previsto che dopo il comma 4 è inserito il comma 4 bis il quale ha stabilito che l’estratto di ruolo non è impugnabile -anche unitamente alle cartelle sottostanti che si assumono non legittimamente notificate – se non a determinate, specifiche, condizioni.

14.1. La menzionata previsione di legge recita: “Il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio ad una procedura di appalto per effetto di quanto previsto nell’at.80 comma 4 del codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. 18 aprile 2016 n.50, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all’art. 1 comma 1 lett. a) del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 18 gennaio 2008 n.40, per effetto delle verifiche di cui all’art.48 bis del presente decreto o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione.”.

  1. Orbene, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza n.26283/2022, ha fortemente circoscritto le impugnazioni attraverso l’estratto di ruolo dirette ad ottenere l’annullamento della sottesa cartella di pagamento, trattandosi di azione di accertamento negativo circa la decadenza del debito iscritto a ruolo, mentre il processo tributario ha natura di impugnazione-merito e il ruolo non ha una sua autonoma materialità. È conseguentemente presente l’interesse ad agire contro il ruolo solo se vi sia un pregiudizio da esso derivante come ad es. un pignoramento in corso o un’intimazione al pagamento, di cui non vi è evidenza in atti, da cui l’inammissibilità del ricorso.
  1. La Corte costituzionale, a sua volta intervenuta con la sentenza 17 ottobre 2023, n. 190 su questioni di costituzionalità involgenti l’art. 12 comma 4-bis cit. ha avallato l’operato delle Sezioni Unite, stabilendo: “Le questioni sollevate (…) sono quindi inammissibili: il rimettente del resto, da un lato, non misconosce le “ragioni sottese alla norma sotto esame: a seguito delle SS.UU. del 2015 (il riferimento è alla sentenza n. 19704/2015) è evidente che il Legislatore si è preoccupato di evitare un proliferare di ricorsi per carichi anche molto risalenti e che a fronte di esazione piuttosto improbabile avrebbero gravato in maniera eccessiva sugli uffici sottraendo risorse preziose e causando il danno economico della possibile condanna al pagamento delle spese di giudizio. Dall’altro, manifesta “perplessità” per “il fatto che per risolvere tale problema il Legislatore sia intervenuto condizionando pesantemente la possibilità di difendersi in giudizio”, censurando quindi la norma in riferimento agli artt. 3,24 e 113 Cost. “nei termini di cui in motivazione”, nella quale, dopo avere esposto una casistica delle fattispecie ritenute indebitamente pretermesse, conclude che “il Legislatore avrebbe potuto adottare soluzioni più snelle e con costi irrisori, che comunque sarebbero state rispettose del diritto di difesa. Di qui l’inammissibilità delle questioni sollevate, dal momento che, come emerge dalla stessa prospettazione del rimettente, il rimedio al vulnus riscontrato richiede, in realtà, un intervento normativo di sistema, implicante scelte di fondo tra opzioni tutte rientranti nella discrezionalità del legislatore (sentenze n. 71 del 2023, n. 96 e n. 22 del 2022, n. 259, n. 240, n. 146, n. 103, n. 33 e n. 32 del 2021).”.
  1. In conclusione, va cassata la sentenza impugnata e, pronunciando sul ricorso introduttivo, questo dev’essere dichiarato inammissibile ex art.100 cod. proc. civ., perché ab origine la causa non poteva essere proposta ex art.382 u.c. cod. proc. civ.
  2. Le spese di lite sono compensate tra le parti per tutti i gradi di giudizio alla luce della giurisprudenza di legittimità e della Consulta sopravvenute all’incardinamelo del ricorso.

P.Q.M.

La Corte:

pronunciando sul ricorso, cassa la sentenza impugnata e, pronunciando sul ricorso introduttivo, lo dichiara inammissibile. Compensa le spese di lite.

Così deciso il 15 marzo 2024.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2024.

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