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I presupposti della determinazione sintetica del reddito: La valorizzazione degli elementi e circostanze di fatto “certi”

  1. Le presunzioni ed il sistema dei coefficienti presuntivi in ambito tributario

Un primo strumento per contrastare in ambito tributario l’evasione di piccole imprese e professionisti è stato quello dei coefficienti presuntivi di compensi e ricavi, introdotti dagli artt. 11 e 12 del Decreto Legge n. 69 del 2 marzo 1989 (convertito, con modificazioni, dalla Legge 27/04/1989, n. 154, successivamente modificato dall’art. 62-quater del D.L. 30/08/1993, n. 331, convertito dalla Legge 29/10/1993, n. 427) ed applicabili alle imprese in contabilità semplificata ed agli esercenti arti e professioni che avessero conseguito, nel periodo d’imposta precedente, compensi per un ammontare non superiore a 160 mila Euro circa e che non avessero optato per il regime ordinario di contabilità[1].

Nei confronti dei soggetti che avessero optato per il regime di contabilità ordinaria, i coefficienti erano utilizzabili solo nel caso in cui avessero dato luogo, in concorso con altri elementi, a presunzioni gravi, precise e concordanti di manifesta infondatezza delle risultanze contabili in ordine alla fedele registrazione delle componenti positive del reddito.

Stabiliva l’art. 12, comma 1, del D.L. n. 69/1989: “Indipendentemente dalle

disposizioni recate dall’art. 39 del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n. 600 e successive modificazioni, e dall’articolo 55 del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, gli uffici delle entrate possono determinare induttivamente l’ammontare dei ricavi, dei compensi e del volume d’affari sulla base dei coefficienti di cui al comma 1 dell’articolo 11, tenendo conto di altri elementi eventualmente in possesso dell’ufficio specificamente relativi al singolo contribuente ”.

I coefficienti erano determinati quindi “con decreti del Presidente del Consiglio del ministri, adottati su proposta del Ministro delle finanze e sentito il Consiglio dei ministri, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale entro il 30 settembre dell’anno al quale si riferiscono con le sommaria indicazione dei criteri seguiti per la loro formulazione” (art. 11, comma 5, D.L. n. 69/1989).

Dalle disposizioni succitate (entrambe abrogate dall’art. 3, comma 179, della legge 28/12/1995, n. 549[2], a decorrere dagli accertamenti relativi al periodo di imposta in corso alla data del 31/12/1995) si evince chiaramente che il legislatore ha espressamente stabilito che gli uffici, avvalendosi dei coefficienti presuntivi, potevano determinare induttivamente l’ammontare dei ricavi, dei compensi e del volume d’affari, a prescindere da quanto stabilito per l’accertamento.

Un approccio di questo genere obbliga in primis gli Uffici Finanziari, a rivedere e riqualificare il ruolo e le modalità applicative dei parametri: non possono essere più confusi con le prove presuntive di reddito, attraverso le quali da un fatto noto si risale ad uno ignoto e in tal modo si accerta il maggior reddito.

I parametri sono solamente dei misuratori utilizzabili per determinare il reddito medio, congruo rispetto al settore di appartenenza del contribuente, ed in quanto tali non effettivi[3]: i risultati a cui si giunge con la loro applicazione devono essere supportati da motivazioni ed elementi concreti che dimostrino la differente situazione reddituale del contribuente rispetto a quella prospettata con la dichiarazione e risultante dalle scritture contabili.

Nella motivazione dell’avviso di accertamento l’Ufficio deve espressamente individuare quali elementi hanno concorso alla determinazione dei maggiori ricavi e se tali elementi possono giustificare il maggiore ricavo del singolo contribuente, con la sua personale e peculiare situazione[4].

Bisogna poi considerare che nel nostro sistema impositivo è di fondamentale importanza per qualsiasi attività accertativa l’art. 39 D.P.R. 600 del 1973 che stabilisce la centralità delle scritture contabili e della loro analisi.

In questo contesto normativo i parametri non possono che rappresentare dei semplici elementi indiziari privi di diretto ed immediato contenuto probatorio pertanto la loro utilizzabilità può avvenire solamente in presenza di situazioni e circostanze convergenti e ritenute gravemente indiziarie di redditi non dichiarati, ciò nonostante una contabilità perfettamente tenuta[5].

Da ciò consegue che i parametri possono essere inquadrati come “indici”, un mero criterio orientativo[6]

, di una probabile ricchezza sottratta a tassazione, che possono essere elevati a coerenti presunzioni quando siano supportati da elementi di gravità precisione e concordanza, opportunamente elencati e motivati nell’atto di accertamento[7].

In caso di mancanza della motivazione a supporto dell’utilizzo dei paramenti nell’atto di accertamento, quest’ultimo dovrà considerarsi illegittimo per mancato assolvimento dell’onus probandi da parte dell’Amministrazione Finanziaria.

Questa metodologia accertativa risulta necessaria anche alla luce della natura dei parametri stessi che, in qualità di presunzioni iuris tantum, per poter essere smentiti dal contribuente in sede di contraddittorio con l’Amministrazione devono essere esplicitati nella loro modalità di applicazione e nella concreta applicazione al caso di specie.

La scarsità della motivazione, oltre all’automaticità di applicazione dei parametri, comporta infatti un evidente pregiudizio per l’efficacia della tutela del contribuente in sede giurisdizionale, già penalizzato dall’inversione dell’onere della prova che viene a ricadergli addosso a seguito della ricostruzione presuntiva del reddito ad opera dei parametri[8].

Ulteriore elemento di criticità dei parametri è dato dal procedimento che ha portato alla loro adozione. Il decreto presidenziale di approvazione infatti, pur essendo un atto regolamentare di carattere generale, non ha rispettato le regole formali stabilite dalla l. 400 del 1988, che disciplina appunto il procedimento per l’adozione dei regolamenti ministeriali; e ciò potrebbe comportare l’illegittimità, sotto tale specifico profilo, del regolamento stesso[9].

I nuovi strumenti di accertamento introdotti dal legislatore degli anni ottanta e novanta rappresentano quindi una conferma in via normativa dell’inesistenza di rigide contrapposizioni, a livello giuridico, tra gli accertamenti di tipo analitico e quelli di tipo induttivo.

Va precisato però che mentre gli accertamenti in base alla cd. legge Visentini-ter (art. 2, comma 29 legge n. 17/1984) ed in base ai coefficienti presuntivi di congruità (art. 12, comma 1 legge n. 154/1989) nel fare salve (“indipendentemente da quanto previsto” dagli artt. 39 e 55) le disposizioni dettate in materia di accertamento dai decreti della riforma, sembrano scontare ab origine la consapevolezza della loro differenziazione rispetto agli accertamenti tradizionali, gli ultimi (in ordine cronologico) strumenti di accertamento (quelli, cioè, rappresentati dai parametri e dagli studi di settore), incidendo sullo stesso ambito applicativo delle disposizioni in parola[10], sembrano invece rappresentare una duplice conferma a livello normativo della assenza di differenziazioni tra gli accertamenti di tipo analitico e quelli di tipo induttivo, da un lato, nonché della validità della bipartizione tra accertamento contabile ed accertamento extracontabile, dall’altro.

  1. La ricostruzione del reddito in base alla spesa

Gli indici di capacità contributiva inizialmente previsti dall’art. 2 del D.P.R. n. 600/1973 sono stati notevolmente aumentati dalla Legge 30 dicembre 1991, n. 413, emanata allo scopo di contrastare l’evasione fiscale ed aumentare la base imponibile di tassazione.

I limiti applicativi derivati dal sistema vigente hanno prestato particolare attenzione agli aspetti di metodo sia per quanto concerne la stima dei coefficienti moltiplicativi, sia per quanto concerne il procedimento da seguire per risalire dalla disponibilità di determinati beni e servizi al reddito imponibile presunto. Una volta selezionati gli indicatori, si è provveduto a stimare, per ciascuno di essi, il coefficiente e il grado di variabilità.

Ogni coefficiente esprime l’inverso della propensione specifica al consumo e, dunque, identifica la relazione che esiste (sulla base dei dati osservati) fra la spesa sostenuta per ogni bene o servizio e la spesa complessiva.

Le peculiarità dei nuovi coefficienti sono due:

  1. sono determinati in relazione alla “spesa complessiva familiare netta da fitti e mutui”, cioè con riferimento ad un aggregato che può differire sostanzialmente dal “reddito familiar”“.

Tale scelta è giustificata dai seguenti motivi:

– fitti e mutui sono spese consistenti e specificatamente accertabili dall’Amministrazione;

– è opportuno porre in evidenza la caratteristica di reddito “vincolato” che tali spese hanno;

– le spese di mutuo e la rispettiva relazione con il reddito si caratterizzano per una forte variabilità;

– chi abita case ricevute in eredità o in donazione, o già completamente pagate, ha minore necessità di reddito.

In sede di ricostruzione del reddito si tiene conto di tali motivi aggiungendo alla spesa complessiva stimata l’ammontare delle spese sostenute per fitti, mutui e rateazioni.

  1. sono quelli corrispondenti al quantile del 15% inferiore.

In proposito si è tenuto conto che i comportamenti, le preferenze e le scelte delle famiglie consumatrici sono differenziate, e che il rapporto tra spesa specifica e spesa complessiva è variabile non solo per famiglia, ma anche per tipo di spesa. In conseguenza di ciò, si è escluso l’impiego di coefficienti ricavati da propensioni medie, onde evitare di attribuire ad una quota non trascurabile di famiglie una spesa complessiva che in realtà non sostengono. Si è perciò ricorso ai valori di “quantile”, cioè a quelli che individuano in una distribuzione una percentuale di famiglie che presentano un valore inferiore a quello di quantile[11].

L’avere scelto di impiegare coefficienti particolarmente cautelativi presupponeva l’utilizzo del redditometro quale strumento di accertamento parziale. Nel momento in cui tale facoltà è venuta meno, a seguito della conversione in legge del D.L. 331/1993, si pone il problema di effettuare scelte consequenziali. Quanto al metodo, appare interessante dar conto delle implicazioni connesse all’impiego di due approcci: uno basato sulla somma di spese (certe o presunte); l’altro basato sulla media di redditi condizionata ad informazioni sulla disponibilità di beni e ad altre informazioni socio-economiche (numerosità familiare, area geografica, ecc.).

Il metodo della somma di spese offrirebbe il vantaggio di poter distinguere tra spese certe[12] e spese presunte[13]. Solo queste ultime richiederebbero stime con soglie “di garanzia”, da utilizzare nella ricostruzione del reddito.

Un necessario complemento potrebbe essere l’aggiunta di una componente “residuale”[14], da inserire sempre con una “soglia di garanzia”.

L’efficacia di questo metodo è correlata con il numero di informazioni specifiche che si richiedono. In particolare non dovrebbe avere troppo peso la spesa residuale, in genere aleatoria e variabile.

Il metodo della media condizionata presenterebbe il vantaggio di essere applicabile anche con poche informazioni, ma richiederebbe un notevole lavoro di stima per ogni combinazione di beni e di caratteristiche, sempreché fosse disponibile una base di dati unica ed esaustiva.

La ripetizione delle stime per ristretti strati della popolazione[15], sarebbe necessaria per assicurare una bassa variabilità delle stime e, allo stesso tempo, una “soglia di garanzia” sufficientemente elevata da non ridimensionare troppo l’operatività dello strumento induttivo.

La soluzione prescelta è diretta a sfruttare i vantaggi di entrambi i metodi.

Per l’anno d’imposta 2008 i predetti indicatori sono i seguenti:

  • aeromobili;
  • navi e imbarcazioni da diporto;
  • autoveicoli;
  • altri mezzi di trasporto a motore;
  • roulottes;
  • residenze principali e secondarie;
  • collaboratori familiari (colf, badanti, ecc.);
  • cavalli da corsa;
  • assicurazioni di ogni tipo[16].

Ai fini della ricostruzione della capacità contributiva, è previsto che l’Ufficio invii ai contribuenti interessati un questionario in maniera tale da recuperare tutte le informazioni necessarie che non possono essere desunte dalla dichiarazione dei redditi.

L’Amministrazione finanziaria, oltre agli indicatori espressamente previsti dalla disposizione di legge, può utilizzarne altri che, a seconda dei casi, possono rivelarsi utili nel caso del calcolo della capacità contributiva di un determinato soggetto.

Dunque, mentre per i primi è sufficiente che l’Amministrazione ne motivi l’esistenza, per i secondi devono essere riportati e motivati anche i criteri seguiti per la determinazione del reddito.

Ognuno di questi elementi indicatori deve essere diviso in classi sulla base di diversi elementi[17]; infine, per ciascuna classe, deve essere individuato un importo che rappresenti la percentuale di disponibilità del bene, tenendo conto del fatto che in alcuni casi, per esempio condivisione di uno stesso bene con un’altra persona o disponibilità dello stesso per una parte dell’anno, la disponibilità del bene risulta proporzionalmente ridotta.

Ai fini della quantificazione sintetica del reddito, inoltre, gli aeromobili, le navi e le imbarcazioni da diporto, gli automezzi, le roulottes, le residenze, non possono far parte degli indici utilizzati per il calcolo del redditometro nel caso in cui questi siano:

  • relativi esclusivamente ad attività di impresa;
  • relativi all’esercizio di arti e professioni;
  • destinati ad uno specifico uso il quale deve essere comprovato da idonea documentazione.

L’importo così ottenuto dev’essere moltiplicato per un coefficiente presuntivo della propensione media al consumo.

I valori reddituali, attribuiti a ciascun bene a disposizione, vanno sommati mediante un metodo detto “stratificazione attenuata” in base al quale il valore più elevato sarà considerato per intero, del secondo si prenderà il 60%, del terzo il 50%, del quarto il 40% e i successivi saranno considerati solo per il 20 % del loro valore.

  1. La quantificazione del reddito in base ai coefficienti presuntivi

Le esperienze giurisprudenziali maturate nel decennio intercorrente  tra l’entrata in vigore dei decreti presidenziali attuativi della  legge  delega n. 825/1971 e i  primi  anni  ottanta,  hanno  fatto  emergere  il  problema dell’utilizzo dei metodi di accertamento in capo a soggetti  obbligati alla determinazione del reddito mediante scritture contabili.

In effetti, nel quadro di un modello procedimentale  di  quantificazione del reddito sulla base dei dati contabili e,  nella  fase  di  accertamento, sulla dimostrazione dell’inattendibilità degli stessi (art. 39, comma 2, del D.P.R. n. 600/1973), è sorto  il  problema  di  come  l’ufficio  ne  potesse contestare la determinazione, facendo ricorso a metodi induttivi,  a  fronte di una contabilità formalmente regolare.

Senonché il ricorso a questo modello è apparso eccessivamente garantista nei confronti di talune fasce di contribuenti[18] i  cui  ricavi dichiarati sono risultati scarsamente congrui rispetto alle  caratteristiche esteriori  dell’attività  ed  in  relazione  alle   quali   la   contabilità semplificata difficilmente consentiva di scoprire le  incongruenze  da  cui l’ufficio potesse desumere la loro inaffidabilità complessiva[19].

È su queste problematiche che si innestano le scelte  normative  che,  a partire dai primi anni ottanta, hanno fatto leva su  predeterminazioni,  ora sul fronte della quantificazione complessiva  del  reddito,  ora  su  quello della quantificazione dei ricavi e  dei  compensi  da  imputare  al  periodo d’imposta.

Il ricorso  a  tale  metodo  consente  all’Amministrazione  di  rilevare componenti positive di reddito basandosi su elementi esteriori  individuati ex lege e non necessariamente desumibili dalle scritture contabili.

Nel procedere in questa direzione, il legislatore si è  orientato  prima verso la formazione di coefficienti presuntivi, funzionali  all’accertamento dei ricavi o dei  compensi,  successivamente  tali  strumenti  sono  stati abbandonati e sostituiti dai parametri che hanno  costituito  una  soluzione “ponte” fino alla progressiva applicazione degli studi di settore.

Con la L. 17 febbraio 1985, n. 17  (c.d.  Visentini-ter)[20],  infatti, furono individuati alcuni  elementi  rilevanti  per  la  determinazione  del volume dei ricavi o dei compensi, anche se  rimaneva  ancora  affidato  agli uffici  il  compito  di  pervenire  alla  quantificazione   dell’imponibile, sviluppando il nesso intercorrente tra tali indici e l’ammontare dei  ricavi e dei compensi.

La  complessità  di  questo  procedimento,   nonché   le   inadeguatezze organizzative degli uffici resero di fatto inattuabile tale  metodologia  di accertamento.

Con gli artt. 11 e 12  del  D.L.  2  marzo  1989,  n.  69  furono  fatti ulteriori  passi  in  avanti:  tenendo  conto  di  taluni   dati   oggettivi (caratteristiche, dimensioni e strumenti  dell’attività)  e  soggettivi,  la normativa in  questione  identificava  taluni  indici  statistico-matematici (c.d.  coefficienti  presuntivi)   che,   applicati   alle   caratteristiche dell’attività, determinavano l’ammontare di ricavi  o  compensi  (nonché  di operazioni imponibili) da cui era possibile  dedurre  soltanto  le  spese  o altri componenti negativi dichiarati dal contribuente o  presi  a  base  dei coefficienti.

Dal  punto  di  vista  procedimentale,   l’accertamento   in   base   ai coefficienti doveva essere preceduto da una  richiesta  di  chiarimenti,  in modo da consentire al contribuente di spiegare le ragioni per  le  quali  il reddito dichiarato si discostava da quello risultante dall’applicazione  dei coefficienti. L’omessa  richiesta  di  chiarimenti  era  sanzionata  con  la nullità dell’accertamento, ma al tempo stesso al contribuente  era  impedito di avvalersi  in  sede  contenziosa  delle  argomentazioni  non  addotte  in risposta.

Anche i coefficienti presuntivi si sono rivelati scarsamente  funzionali ed anelastici rispetto al vasto spettro di situazioni di fatto  verificabili e, di conseguenza, sono stati  sostituiti,  limitatamente  agli  anni  1995, 1996, 1997, dai parametri (art. 3, commi 179 e ss. della  L.  n.  549/1995), cioè da altri indici statistico-matematici che consentivano  di  determinare l’ammontare dei ricavi e compensi, elaborati assumendo a base di riferimento le variabili di carattere contabile presenti nella dichiarazione per ciascun settore economico, distinto per area  territoriale  e  per  ciascun  livello quantitativo di attività[21].

Anche questi ultimi, infine, è in corso una progressiva sostituzione con gli studi di settore previsti dall’art. 62-bis D.L. n. 331/1993,  convertito con modifiche con  la  L.  n.  427/1993.  Si  tratta  di  una  ricostruzione statistica dell’ammontare dei ricavi e dei compensi delle  imprese  e  degli esercenti  arti  e  professioni  elaborata  in  funzione  del   settore   di appartenenza e variabile in base ad una serie  di  parametri,  di  carattere qualitativo[22], quantitativo e territoriale[23], relativi  ai  volumi  di attività esercitata rilevati dalle dichiarazioni o da  appositi  questionari[24] compilati dai contribuenti.

Tali studi, soggetti ad approvazione[25]  e  revisione  periodica  con decreto ministeriale e a pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale[26], sono, infatti, costruiti con la collaborazione delle categorie economiche[27] e delle parti sociali e costituiscono, in sostanza, una griglia di  indici  in grado di consentire la ricostruzione dei ricavi  o  compensi  congrui[28], nonché della coerenza[29] economica dei dati dichiarati dal contribuente.

In particolare, tramite lo studio il contribuente  viene  collocato  nel proprio gruppo  omogeneo  di  riferimento  (cluster)[30]  e  si  determina l’entità di ricavi o compensi (definita dal c.d. intervallo  di  confidenza) che  alla  luce  degli  elementi  caratterizzanti  l’attività  in concreto esercitata si ritiene debba essere di norma dichiarata dal contribuente.

Gli studi di settore sono così  divenuti  uno  strumento  di  conoscenza destinato ad orientare, da un lato, gli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione e, dall’altro,  gli  accertamenti  presuntivi  nei  diversi settori  economici,  migliorando   la   capacità   dell’amministrazione di selezionare i soggetti da sottoporre a controllo e accertamento.

Il reddito netto è determinato analiticamente sulla base dei singoli redditi che lo compongono, salvo i casi in cui, a causa di una presunzione derivante da fatti certi di un maggior reddito, si renda necessario fare ricorso alla determinazione sintetica. Il redditometro è il procedimento attraverso il quale l’Amministrazione finanziaria presume il reddito complessivo del contribuente persona fisica, in funzione della capacità di spesa manifestata dallo stesso.

La determinazione della capacità contributiva di un soggetto, basata sulle spese da lui sostenute, si è rivelata una metodologia efficace ed affidabile, soprattutto per quanto riguarda le persone fisiche (visto il collegamento lineare presente tra le spese sostenute e il reddito del soggetto).

Con l’emanazione della legge 24 dicembre 1993, n. 537, all’art. 14, si istituì il redditometro quale strumento per “smascherare” la capacità contributiva di chi conduce un elevato tenore di vita e, per contro, dichiara un reddito notevolmente basso, se non nullo.

3.1 La riferibilità al soggetto passivo degli elementi e circostanze di fatto  indizianti

Per quanto attiene la riferibilità al soggetto passivo degli elementi e circostanze di fatto indizianti va detto che questi possono essere reperiti da:

– Liste selettive elaborate centralmente, banche dati e segnalazioni qualificate predisposte nell’ambito dell’attività di intelligence;

– Liste interattive elaborate appositamente come strumenti di ausilio alla selezione di posizioni  soggettive , quali ad esempio:

– Lista selettiva AU “Autovetture” – con la quale sono segnalate le persone fisiche che, sulla base dei dati forniti dalla Direzione Generale della Motorizzazione, risultano aver  immatricolato nell’anno 2003 autovetture di potenza fiscale uguale o superiore a  21 CV;

– Lista selettiva T “Incrementi patrimoniali” – con la quale sono segnalate le persone fisiche che hanno dichiarato per il periodo d’imposta 2002 e 2003 imponibili incongruenti rispetto alla  consistenza degli esborsi (compravendite e conferimenti di somme di denaro, ecc.) risultanti dagli atti stipulati e registrati negli anni dal 2003 al 2007.

La Corte di cassazione, con precedenti, importanti pronunce[31], nel ribadire come la flessibilità degli strumenti presuntivi sia imposta dall’art. 53 della Costituzione, ha chiaramente precisato che il ricorso alle presunzioni può risultare vincente se i dati forniti dal contribuente sono inattendibili, ovvero qualora il contribuente non fornisca in giudizio la prova contraria a quanto presunto dall’ufficio finanziario secondo parametri forniti dalla legge o dall’Autorità amministrativa e secondo canoni di ragionevolezza.

Peraltro va ribadito[32] che, ai sensi dell’art. 2121, primo comma, c.c., il giudice di merito, laddove la presunzione sia grave e precisa, può fondare il proprio convincimento anche su una sola prova presuntiva semplice, non essendo la prova medesima inferiore alle altre, affermando il principio, nel giudizio conseguente ad un accertamento tributario, secondo cui gli elementi assunti a fonte di presunzione non debbono essere necessariamente plurimi, sebbene l’art. 2729, primo comma, c.c. e l’art. 39, quarto comma, del D.P.R. n. 600/1973 si esprimano al plurale.

Pertanto, secondo questa impostazione, il convincimento del giudice tributario ben può fondarsi anche su un elemento unico, purché preciso e grave.

Peraltro in tali ipotesi opera l’istituto dell’inversione dell’onere della prova, cosicché la specifica incombenza di dimostrare la mancata produzione di redditi[33] impiegati per l’acquisto di un bene adottato quale indice di capacità contributiva è posta in capo al contribuente e non, invece, all’ufficio finanziario, il quale è tenuto a dimostrare esclusivamente i fatti costitutivi della pretesa tributaria.

Il giudice di merito può, quindi, ritenere legittimamente operato il ricorso all’accertamento sintetico dei redditi del contribuente che abbia effettuato acquisti per importi non congrui con i redditi dichiarati e non provi la concreta provenienza delle disponibilità impiegate. In pratica, in questo caso il giudice ricaverà correttamente il fatto ignoto (cioè l’indice di maggiore capacità contributiva) non già da un’altra presunzione, ma direttamente e unicamente dal fatto noto dell’acquisto di un bene per un importo ritenuto non congruo con i redditi dichiarati.

In altri termini, la presunzione semplice genera un’inversione dell’onere della prova, trasferendo sul contribuente l’incombenza di dimostrare che le circostanze di fatto dalle quali essa stessa trae fondamento non corrispondono alla realtà[34], di modo che la questione di diritto di cui si tratta deve essere ricondotta alla sufficienza o meno della prova che il contribuente è tenuto a offrire in ordine alla motivazione presuntiva addotta dal Fisco circa il recupero a tassazione di materia imponibile[35].

Sempre in ordine alla tematica, si ritiene vada citata anche un’altra importante pronuncia giurisprudenziale, che testimonia la presenza di una diffusa e consolidata giurisprudenza circa la legittimità dell’avviso di accertamento sintetico, anche in presenza di un solo indice di capacità contributiva.

Infatti, i giudici di legittimità[36], in tema di accertamento delle imposte sui redditi, ai fini dell’adozione del metodo di accertamento sintetico di cui all’art. 38, quarto comma, del D.P.R. n. 600/1973, hanno sancito come sia “sufficiente la sussistenza di elementi e circostanze di fatto certi che, provando un determinato ammontare di spesa, presuppongono la disponibilità di un corrispondente reddito globale, senza la necessità di conoscere i cespiti dai quali il reddito stesso possa derivare, restando a carico del contribuente l’onere di provare l’inesistenza della capacità reddituale e, in particolare, della base da cui è stata tratta”[37].

Pertanto, ferma restando la possibilità per il contribuente di dimostrare l’inesistenza del reddito accertato sinteticamente, l’Ufficio finanziario non ha l’onere di indicare analiticamente la fonte del maggior reddito accertato, essendo, invece, sufficiente, per poter giungere a tale determinazione, una manifestazione di spesa non coordinabile con i minori redditi dichiarati o esenti, ovvero situazioni indicative di una capacità di spesa di natura reddituale. Il quinto comma dell’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973 consente, infatti, al contribuente la facoltà di dimostrare, peraltro anche prima della notifica dell’accertamento, che l’imponibile, determinato o determinabile sinteticamente, è costituito in tutto o in parte da redditi esenti, precisando come l’entità di detti redditi debba risultare da idonea documentazione.

Ed ancora, in tema di legittimità circa l’utilizzo dell’accertamento sintetico, merita di essere ricordata la sentenza 7 marzo 1995, n. 2653 della Corte di cassazione[38], la quale ha dettagliatamente illustrato la ratio legis dell’art. 38 citato, affermando che “se il reddito complessivo risultante dalla determinazione analitica è inferiore a quello fondatamente attribuibile al contribuente in base ad elementi ed a circostanze di fatto certi, l’Ufficio determina sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze”.

Dando per conosciuta l’analisi delle norme e dei presupposti che disciplinano l’istituto giuridico dell’accertamento sintetico[39], basterà in questo contesto ricordare che si tratta, in pratica, di una modalità di accertamento del reddito che rende possibile giungere alla sua determinazione mediante il ricorso ad “indici esterni” di capacità contributiva che, sebbene non ricollegabili alle singole fonti produttive di reddito, sono tuttavia dotati di un coefficiente di certezza grazie ai quali si presume la sussistenza di un reddito superiore a quello che risulterebbe da una determinazione analitica.

Sempre con pacifici, conformi orientamenti giurisprudenziali, la Suprema Corte[40] ha, inoltre, chiarito che il potere di rettifica delle dichiarazioni di cui all’art. 38, quarto comma, del D.P.R. n. 600/1973, può essere legittimamente esercitato tutte le volte che la determinazione, con metodo sintetico, di un imponibile maggiore di quello risultante dalla valutazione analitica si riveli correlata a manifestazioni di spesa non giustificate dal reddito dichiarato o a situazioni indicative di una capacità di spesa di natura reddituale[41].

Tale determinazione sintetica, peraltro (e questo è un aspetto estremamente rilevante del problema), può essere effettuata senza che per l’Ufficio sia necessario individuare analiticamente i singoli cespiti dai quali tali redditi sarebbero tratti[42].

Inoltre, circa il valore indiziario dell’acquisto di beni, si ritiene utile un riferimento anche alla sentenza della Corte di cassazione 13 giugno 1995, n. 6669[43], secondo cui la disponibilità patrimoniale resa palese dall’investimento di un cospicuo capitale nell’acquisto di un appartamento costituisce, di per sé, elemento che giustifica l’accertamento sintetico. Da ultimo, si cita la sentenza 24 maggio 1991, n. 5887[44] che, seppur riferita all’ipotesi di omessa presentazione della denuncia dei redditi, afferma che la disponibilità patrimoniale resa palese dall’investimento di un cospicuo capitale (in una società a responsabilità limitata) e dall’alto tenore di vita del soggetto costituisca di per sé elemento idoneo a giustificare l’accertamento sintetico dei redditi[45].

3.2 L’acquisizione della prova degli elementi e delle circostanze di fatto indici di capacità contributiva

In virtù dell’art. 38, comma 4, D.P.R. n. 600 del 1973, come sostituito dall’art. 1, comma 1, lett. b), della l. n. 413 del 1991 gli uffici finanziari possono, sulla base di elementi e circostanze di fatto certe e determinate, individuare sinteticamente il reddito eventualmente sottratto al fisco, quando si discosta per almeno un quarto dal valore dichiarato.

Sono state stabilite quindi le modalità in base alle quali detti uffici possono ricostruire induttivamente i redditi in relazione ad elementi indicativi di capacità contributiva, quando i valori dichiarati non risultano congrui rispetto ai predetti elementi per due o più periodi di imposta.

La l. n. 413 del 1991 prevede un effetto retroattivo di dette disposizioni, limitatamente all’ipotesi di favor rei.

Infatti con le modifiche introdotte dall’art. 7 l. n. 413 del 1991, i coefficienti produttivi di reddito determinati per il periodo di imposta 1992 sono utilizzabili anche per gli accertamenti sui periodi di imposta precedenti tale data ed in luogo dei coefficienti previsti, se la loro applicazione sia più favorevole al contribuente.

Ne deriva che, l’applicazione dei suddetti decreti ai redditi prodotti in anni antecedenti alla loro emanazione configura una violazione dei principi dell’irretroattività delle leggi e della gerarchia delle fonti, previsti dagli art. 1, 10 e 11 disp. prel. nonché quelli sulla tutela dei diritti soggettivi[46] di cui agli art. 23 e 53 Cost.[47].

A riguardo occorre osservare che il richiamato art. 25 della Cost., sancisce inequivocabilmente il dettato dell’irretroattività in materia penale, mentre nulla di simile è previsto in materia tributaria. Ebbene sin dai primi anni ‘60 autorevole dottrina[48] ha sollecitato l’intervento della Corte costituzionale sulla “compatibilità delle norme tributarie retroattive con il principio costituzionale che lega il prelievo fiscale al criterio della capacità contributiva: proprio perché la capacità contributiva non può che essere effettiva, attuale e concreta”[49].

L’attualità va intesa nel senso che, tale capacità debba sussistere nel momento in cui il contribuente è chiamato a partecipare alle spese dello Stato[50].

Sebbene nell’ordinamento interno non esistano divieti espliciti relativi ad imposizioni patrimoniali su circostanze che si realizzano prima dell’entrata in vigore della relativa legge, occorre sempre che la capacità contributiva sia “attuale”, cioè esista al momento del prelievo.

In tal senso la possibilità di introdurre tributi con qualche effetto retroattivo, trova un limite indiretto nella stessa capacità contributiva[51]. Considerata la natura amministrativa della modalità dell’accertamento in esame, occorre ricordare che l’art. 23 Cost. sancisce che “nessuna prestazione personale e patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”, principio già presente nello Statuto Albertino, all’art. 30[52].

Generalmente parte della dottrina ha attribuito a tale norma una funzione garantisca di presidio alla libertà e alla proprietà individuale[53].

La giurisprudenza tributaria di merito si è in questi anni espressa quasi esclusivamente a favore dei contribuenti.

I giudici tributari di prima istanza hanno sin dalla prime sentenze[54], addotto quale motivazione principale di accoglimento dei ricorsi contro gli uffici finanziari, la violazione del principio della irretroattività della legge e quello di gerarchia delle fonti normative.

Con riferimento alla prima motivazione i giudici tributari hanno osservato che “essendo stati abrogati i commi 2 e 4 dell’art. 38 D.P.R. n. 600 del 1973, sostituiti dalle lett. a) e b) dell’art. 1 l. n. 413 del 1991, che non ha previsto l’applicazione o l’efficacia retroattiva delle disposizioni regolamentari, che ne sarebbero seguite, non potevano e non possono essere applicati i D.M. 10 settembre e 19 novembre 1992 alle pregresse situazioni reddituale”[55].

Nella maggior parte dei casi i giudici di secondo grado hanno confermato quanto deciso dalle commissioni di prima istanza[56].

In particolare la commissione provinciale del Friuli Venezia Giulia, con le sentenze 21 settembre 1999, n. 43 e n. 44, ha distinto i coefficienti in oggetto, evidenziando quelli che avrebbero potuto essere applicati anche eventualmente retroattivamente[57].

In altre decisioni[58] è stato evidenziato, in aggiunta a queste ragioni che la pubblicazione dei decreti ministeriali del 1992 è avvenuta oltre i sei mesi, che costituiscono il limite temporale previsto dalla legge di delega, e senza che il Parlamento avesse concesso alcuna proroga o rinnovo di delega[59].

Meno numerosa è la giurisprudenza contraria alla amministrazione finanziaria sia in sede provinciale che regionale[60].

Le decisioni[61] contrarie ai contribuenti si fondano principalmente sull’osservazione che il disposto normativo di cui ai decreti in esame ha una natura esclusivamente procedurale e non sostanziale, in quanto tale tipo di accertamento si riverbera sul piano meramente probatorio senza alcun effetto sui presupposti all’origine della obbligazione tributaria.

Tale orientamento di alcuni giudici si fonda su argomentazioni poco convincenti in merito all’incontestabile considerazione che il principio della irretroattività è derogabile solo dalla legge in senso stretto, mai da atti normativi ad essa subordinati.  Tale posizione è stata recentemente riproposta dalla Cass. 6 marzo 2000, n. 251, 29 agosto 2000, 21 novembre 2000 n. 11303. Considerando l’insieme delle norme sul “redditometro” alla stregua di una mera agevolazione accordata all’amministrazione finanziaria, in materia probatoria, consistente in una presunzione semplice non avente l’attitudine di determinare sostanzialmente ed automaticamente il reddito dei contribuenti, ai quali viene riconosciuta la più ampia possibilità di provare la diversa e minore consistenza di quanto accertato, l’applicazione retroattiva delle disposizioni ministeriali secondo tale interpretazione[62], sembra mantenersi all’interno la sfera della legittimità. L’applicazione da parte degli uffici finanziari del meccanismo del “redditometro” introdotto con la modifica all’art. 38, 4 comma D.P.R. n. 600 del 1973, ad opera dei decreti ministeriali del 1992 anche agli anni precedenti la loro entrata in vigore, ha prodotto una notevole attività per la giustizia tributaria nei suoi diversi gradi di giudizio. L’utilizzo indiscriminato di tale strumento da parte dell’amministrazione come lotta all’evasione ha assunto nei primi anni di applicazione della normativa sull’accertamento sintetico, dimensioni eccessive tanto da originare una interpellanza parlamentare[63].

Lo stesso Ministero è intervenuto con la circolare 30 aprile 1999 n. 101/E[64], per chiarire che l’accertamento sintetico, “in via di principio applicabile indipendentemente dalla preventiva determinazione analitica dei redditi posseduti dal contribuente”, vada “coordinato con le strategie di contrasto all’evasione fiscale” e che l’impiego degli indici e coefficienti resuntivi di reddito collegati ad elementi indicativi di capacità contributiva deve in primis essere utilizzato quale spunto di indagine per individuare le effettive fonti reddituali sottratte all’imposizione, sottolineando, data l’inevitabile imprecisione del mezzo presuntivo, “l’esigenza di un suo attento e ponderato utilizzo da parte degli uffici”.

Dal combinato disposto dell’articolo 38, commi 4 e 5 e dei decreti del 1992, derivano pertanto delle norme impositrici, la cui irretroattività attiene ad un principio che, oltre ad essere da sempre implicito nell’ordinamento giuridico tributario, è stato da ultimo reso esplicito e cogente dallo Statuto dei diritti del contribuente introdotto dalla l. 27 luglio 2000, n. 212, il cui art. 3, comma 1, afferma espressamente che “le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo”.

Tale principio espresso in via generale ha tuttavia valore di legge ordinaria, ed in quanto tale derogabile da norme successive di pari grado[65].

  1. Redditometro e prova del contribuente alla determinazione sintetica del reddito complessivo netto

Il fine dell’accertamento sintetico è il  recupero della base imponibile non dichiarata attraverso un’attenta selezione dei soggetti da sottoporre a controllo sulla base delle evidenti manifestazioni di capacità contributiva mediante la determinazione sintetica del reddito complessivo netto ai sensi dell’art. 38, quarto e quinto comma, del D.P.R. n. 600/73.

L’accertamento sintetico, effettuato in base al redditometro, determina una presunzione di maggiore capacità contributiva che può essere superata dalla prova contraria documentale offerta dal contribuente, ma non certo dalla mera “allegazione” di qualsivoglia circostanza di fatto.

Per procedere con accertamento sintetico è necessario verificare, come detto nei paragrafi precedenti, la sussistenza delle condizioni previste dal quarto comma dell’articolo 38 del D.P.R. 600/1973 e, cioè, che il reddito complessivo netto sinteticamente accertabile si discosti per almeno un quarto dal reddito imponibile dichiarato e che tale scostamento sia verificato per due annualità consecutive.

A tal proposito, l’agenzia delle Entrate, con la circolare ministeriale 49/2007, ha rilanciato l’accertamento sintetico sulla base del redditometro, rivolgendolo, in particolare, a quei contribuenti che effettuano acquisti di immobili, autovetture di grossa cilindrata, barche, aeromobili e che dispongono di residenze secondarie, nonché a quei soggetti la cui effettiva capacità contributiva collegata a rilevanti manifestazioni di spesa è in stridente contrasto con i redditi dichiarati.

Laddove nel corso delle indagini finanziarie, attivate a supporto degli indici di capacità contributiva legittimanti l’accertamento sintetico, vengano rilevate movimentazioni riconducibili all’esercizio di attività di impresa o di lavoro autonomo, “sarà opportuno procedere prioritariamente con l’accertamento del reddito delle relative categorie; in tale ambito saranno fatti valere anche gli indici di capacità contributiva e, sussidiariamente, soltanto nei casi di concreta rilevanza, sarà valutata la proficuità dell’accertamento sintetico”.

Queste sono le conclusioni a cui perviene l’Agenzia delle entrate. Un problema si poneva però se, in sede di accertamento sintetico, in ipotesi del genere, in capo all’ufficio finanziario incombesse l’obbligo di dotare il proprio atto di accertamento di una doppia motivazione: la prima per giustificare la insoddisfacente rettifica analitica del reddito d’impresa o di lavoro autonomo e la seconda per dimostrare la più appagante determinazione sintetica del reddito con l’utilizzo degli strumenti consentiti dal “redditometro”. Insomma, la questione da risolvere era capire se in queste circostanze i valori dichiarati dall’imprenditore o dall’esercente lavoro autonomo siano da intendersi tacitamente accolti ovvero, semplicemente, “azzerati” dal reddito complessivo sinteticamente determinato.

La questione è rilevante perché occorre trovare un accordo:

  1. a) per stabilire quale riconoscimento dare agli elementi reddituali che hanno continuità nel tempo (rimanenze, ammortamenti e via dicendo);
  2. b) per capire quale applicazione devono avere le regole, espresse nel settimo comma dell’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973, in ordine alla indeducibilità dal reddito complessivo determinato sinteticamente degli oneri di cui all’art. 10 del D.P.R. n. 917/1986;
  3. c) per decidere in quale categoria reddituali debba essere ricondotto il reddito sinteticamente accertato.

Su quest’ultimo punto va detto che la regola espressa nell’art. 38 (sempre nell’ambito del settimo comma) dispone che “agli effetti dell’imposta locale sui redditi il maggior reddito accertato sinteticamente è considerato reddito di capitale”.

Si tratta, di una regola che deve essere letta e inquadrata nel tempo in cui è stata emanata. L’appartenenza del maggior reddito accertato alla categoria dei redditi di capitale vale “agli effetti dell’imposta locale sui redditi”; ma l’imposta, nel frattempo, è passata a miglior vita.

Ci si chiede quindi per le interferenze di altri regimi impositivi[66], a quale regime appartiene il reddito sinteticamente accertato[67].

La circolare ha avuto notevole risonanza, destando l’attenzione degli operatori e della stampa[68]; in dichiarata continuità con la circolare 23 gennaio 2007, n. 2/E[69], essa anticipa, in effetti, l’avvio di una campagna di controlli, da sviluppare nell’anno in corso e nel 2009, basata sull’applicazione del cd. metodo sintetico di determinazione dell’imponibile dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, di cui all’art. 38, commi quarto e ss., del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.

Le principali novità stanno, da un lato, nel “ritorno” di un metodo di accertamento assai temuto dal contribuente, ma sempre applicato con difficoltà e timidezza dall’amministrazione finanziaria, dall’altro nella più precisa e concreta indicazione delle modalità di impiego della tecnologia, in modo da rendere più rapida e sicura l’azione degli uffici, cui è assegnato, in ogni caso, il ruolo decisivo per un’azione di controllo che risulti, senza essere vessatoria, efficiente ed efficace.

La circolare si riferisce in particolare ai periodi d’imposta 2002 e 2003 e si inserisce, senza poterlo modificare, nel quadro normativo esistente, per cui, occorre sottolineare che l’ambito applicativo dell’istituto rimane quello disciplinato non solo dall’art. 38 citato, ma anche dai decreti ministeriali che hanno definito ed aggiornato il cd. redditometro[70]. Ciò comporta, inevitabilmente, la necessità di ridimensionare la portata innovativa della circolare ed anche la necessità di verificarne il grado di effettivo rispetto del dato normativo, del quale essa non può che avere funzione meramente applicativa.

L’attività di controllo è stata allargata anche al “nucleo familiare” del contribuente per poter individuare, nell’ambito delle “famiglie fiscali”, i componenti che non dichiarano redditi o che ne dichiarano di modesti rispetto alla manifestazione di ricchezza loro riconducibile.

La citata circolare ha precisato, altresì, che, nell’ambito delle attività istruttorie correlate all’accertamento sintetico sulla base del redditometro, le indagini finanziarie costituiranno uno strumento di indubbia rilevanza “per trasformare gli indizi di tipo patrimoniale e gestionale in prove che evidenziano la effettiva capacità del soggetto controllato”.

Particolare importanza, più ancora che nel passato, viene data nella circolare al lavoro preparatorio destinato ad individuare gli elementi certi e precisi da porre a base del controllo e, soprattutto, a selezionare i soggetti sui quali sviluppare l’indagine.

Questi ultimi saranno individuati attraverso liste selettive, formate attraverso il riscontro di operazioni di acquisto di vetture di media cilindrata (superiori a 21 CV: lista AU) o di beni di rilevante valenza patrimoniale (imbarcazioni, ma soprattutto immobili: lista T). Secondo legge, a tali elementi si attribuisce una duplice valenza, per i periodi d’imposta anteriori all’acquisto, di sintomo di una capacità reddituale portatrice di un accumulo di risorse da destinare all’investimento, per i periodi d’imposta successivi, di sintomo di una capacità reddituale idonea a sostenere, una volta esauriti i bisogni essenziali, la spesa di gestione e di mantenimento del bene. Viene peraltro raccomandato agli uffici di avviare il controllo non solo sulla base di quanto risulta dalle liste, ma anche verificando sin dall’inizio – con la rilevazione e l’eliminazione di eventuali errori contenuti nelle liste – l’esistenza di ulteriori operazioni significative e, per quanto possibile, il quadro di insieme dei proventi reddituali e del patrimonio ascrivibili all’intero “nucleo familiare”.

I soggetti individuati come titolari di situazioni fiscali di interesse devono ricevere la notifica di una comunicazione informativa che preavvisa circa l’esistenza di elementi utili alla determinazione sintetica del reddito complessivo netto e li invita a fornire elementi di “prova contraria”. Viene ribadita la possibilità di sviluppare l’accertamento in forma concordata, nell’ambito delle fasi di contraddittorio che possono prevedere, ma non inevitabilmente, la convocazione del contribuente in ufficio[71].

Di particolare interesse sono, sotto questo aspetto, gli inviti che la circolare rivolge agli uffici affinché svolgano attività istruttorie in modo non rigidamente predeterminato, e affinché utilizzino, previa valutazione di economicità/convenienza, lo strumento delle indagini finanziarie, particolarmente utile al fine di ricostruire modi e tempi dell’accumulo, e poi dell’utilizzo, delle risorse patrimoniali.  L’indicazione consigliata è peraltro quella di ricondurre, ove possibile, i risultati delle indagini finanziarie piuttosto all’accertamento “analitico presuntivo” sulle categorie di reddito determinate in base a contabilità, che non alla determinazione sintetica.

Ne deriva che, nella corretta visione dell’Agenzia, il controllo assume estrema flessibilità di impiego, potendo condurre a risultati, in termini di avviso di rettifica conclusivo, anche molto diversi da quelli desumibili in base al contenuto della segnalazione inserita nella lista: perché quest’ultima può risultare erronea, o perché l’ufficio è in grado di acquisire ulteriori informazioni che rafforzano, o viceversa attenuano, la valenza presuntiva degli elementi di cui alla lista, ovvero in quanto sia il contribuente a produrre elementi di segno contrario, ovvero ancora perché, abbinando anche poteri istruttori tradizionali all’azione basata sui fatti indice, con riferimento alle indagini finanziarie, gli uffici acquisiscono elementi che si rivelano più idonei alla rettifica delle categorie reddituali isolatamente considerate che non alla valutazione sintetica del reddito complessivo.

In definitiva, la sequenza procedimentale si sviluppa attraverso:

  1. a) attività preliminari (sostanzialmente interne),
  2. b) fase istruttoria in contradditorio, finalizzata in primo luogo ad acquisire i termini reali dell’esborso finanziario individuato come rilevante,
  3. c) fase valutativa, o predecisoria, in cui si valutano gli elementi addotti dal contribuente, considerando se del caso la situazione complessiva della “famiglia fiscale”,
  4. d) notifica dell’eventuale avviso di accertamento, i cui contenuti potrebbero anche aver assunto notevole difformità rispetto al dato iniziale contenuto nella lista.

Emergono visioni interessanti anche dalle esemplificazioni in ordine alla prova contraria che il contribuente potrà addurre. In primo luogo, è da rilevare che la possibilità, riconosciuta al contribuente dall’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973 anche con riguardo a momenti precedenti rispetto alla notificazione dell’avviso, è senza dubbio valorizzata dalla circolare in oggetto attraverso la previsione della comunicazione sistematica preventiva al contribuente delle indagini in corso: comunicazione che è prevista come obbligatoria, anticipata sin dal momento della disamina della lista, dettagliata nei contenuti, in quanto viene previsto che il contribuente debba essere informato con precisione: “gli elementi fonte di innesco dei controlli devono essere portati a conoscenza del contribuente analiticamente”.

È dato grande rilievo al momento della valutazione dei dati forniti dal contribuente in senso contrario, confermando così la rilevanza, sui contenuti dell’avviso di accertamento, anche della parte di istruttoria che ha visto protagonista il contribuente: manca forse soltanto, sostengono taluni, un richiamo alla completezza, sotto tale aspetto, della motivazione del provvedimento finale, ma si tratta di un corollario certamente implicito, e ineludibile, rispetto alle premesse assunte nella circolare stessa. Per questa parte, dunque, la circolare, così come nell’impostazione generale, si rivela tendenzialmente garantista, sì da soddisfare quell’esigenza di obbligatorietà e di centralità del contraddittorio giustamente ribadita anche di recente[72].

Quanto ai contenuti della prova contraria, le ipotesi che vengono formulate sono quelle classiche emerse nell’esperienza applicativa dell’accertamento sintetico o espressamente codificate nella normativa, ma qualche profilo innovativo emerge: ad esempio per i titolari di reddito agrario si richiede che l’adeguatezza di tale reddito a giustificare gli indici di capacità contributiva sia valutata esaminando il volume d’affari dichiarato ai fini IVA, per desumerne indirettamente la redditività[73].

Si sottolinea, inoltre, che il contribuente sottoposto a redditometro, a norma del sesto comma del citato articolo 38, ha la facoltà di dimostrare, anche prima della notifica dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito, in tutto o in parte, da redditi esenti (ad esempio, interessi derivanti da Bot, Cct e simili) o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (libretti di risparmio, depositi in conto corrente, buoni postali eccetera), ovvero da somme riscosse a titolo di disinvestimenti patrimoniali.

Tanto premesso, i giudici di legittimità hanno affermato che la disponibilità di autovetture, gli incrementi patrimoniali, le prestazioni di collaboratori domestici, costituiscono presunzione di capacità contributiva da qualificarsi “legale” ai sensi dell’articolo 2728 c.c., atteso che è la stessa legge che impone di ritenere detti elementi e circostanze di fatto indicativi di maggiore capacità contributiva.

Conseguentemente, la Corte ha ritenuto che “il giudice tributario, una volta accertata l’effettività degli specifici elementi indicatori di maggiore capacità contributiva esposti dall’ufficio, non ha il potere di togliere a tali elementi la capacità presuntiva contributiva che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma”[74].

Ad avviso della Cassazione, dunque, è legittimo l’accertamento effettuato dall’ufficio sulla base dei coefficienti presuntivi di reddito, previsti da specifici decreti ministeriali (indici di capacità di spesa), quando il contribuente non abbia dimostrato che il reddito presunto sulla base del redditometro non esisteva o esisteva in misura inferiore.

In buona sostanza, per incrinare la rilevanza degli elementi costituenti indici fondanti la presunzione di maggiore capacità contributiva, non è sufficiente la “mera allegazione di qualsivoglia circostanza di fatto”, ma è necessario produrre una documentazione convincente.

Dalla decisione, emerge con chiarezza che, così come gli uffici finanziari non possono porre a fondamento degli accertamenti sintetici “elementi–indice” di maggiore capacità contributiva generici[75], allo stesso modo il contribuente dovrà fornire valide e convincenti giustificazioni documentali, anche riferibili ai componenti del proprio nucleo familiare.

Molto eco ha avuto il riferimento alla famiglia fiscale, contenuto nella circolare; si è paventato il passaggio, dal dato normativo, da una capacità contributiva riferita al reddito individuale, ad una soggettività passiva del gruppo familiare.

Tuttavia le affermazioni della circolare non hanno questa portata, e si inseriscono in una tematica, quale quella della effettiva individuazione del soggetto che sopporta i costi di acquisto e di gestione dei beni e dei servizi – indice, direttamente connessa a quella della prova contraria e già da tempo considerata, a livello di normazione secondaria, di giurisprudenza, di prassi.

Orbene, la circolare richiama gli uffici alla necessità di verificare quale sia il soggetto dal cui reddito sono alimentate le spese considerate dal redditometro: soggetto che, di frequente, non è quello formalmente intestatario del bene[76]. Non si può ipotizzare un accertamento solido, in grado di resistere alla verifica giurisdizionale, se l’ufficio non è in grado a monte di individuare e prevenire eccezioni derivanti dalla non corretta imputazione del reddito: di qui l’invito a considerare la posizione di ciascun nucleo familiare, non per accertare il reddito del nucleo stesso, ma per individuare correttamente il soggetto cui imputare il maggior reddito accertato sinteticamente, in base a tutti i fatti indice che emergono in relazione ai componenti della famiglia[77].

Si ricorda, infine, che costituiscono ipotesi di “valide giustificazioni”, suscettibili di apprezzamento, oltre ai casi espressamente contemplati nel citato sesto comma dell’articolo 38 del D.P.R. 600/1973, anche altre circostanze, quali l’utilizzo di finanziamenti, di somme di denaro derivanti da eredità, donazioni, vincite, l’utilizzo di somme riscosse fuori dall’esercizio dell’impresa, a titolo di risarcimento patrimoniale eccetera.

I contribuenti potranno fornire argomentazioni e documenti che gli Uffici devono valutare attentamente, al fine di pervenire a determinazioni reddituali pienamente convincenti, in particolare, quando la determinazione sintetica del reddito complessivo netto si fonda unicamente sul contenuto induttivo degli elementi di capacità contributiva.

Il contribuente potrà dimostrare che i redditi provengono da:

– redditi esenti;

– redditi assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta;

– somme riscosse a titolo di disinvestimenti patrimoniali;

– somme provenienti da altri componenti il nucleo familiare;

– eredità, donazioni vincite;

– redditi conseguiti a fronte di importi fiscali convenzionali[78];

– utilizzo di somme riscosse, fuori dall’esercizio dell’impresa, a titolo di risarcimento patrimoniale.

Qualsiasi prova documentale o argomentazione per contrastare le pretese dall’Ufficio.

Ciò posto, passiamo ad analizzare il problema della prova dall’angolo visuale del contribuente.

Ora, è chiaro che il contribuente può provare di non appartenere alla categoria in cui è stato incluso ai fini accertativi; è altrettanto chiaro che può dimostrare che sono stati commessi degli errori di calcolo nell’applicazione dello strumento forfetario (pur non essendo questo molto semplice per i motivi già esposti).

Ma non solo: il contribuente, ancorché egli non versi in situazioni eccezionali, può altresì dimostrare di non aver percepito i maggiori ricavi o il maggior reddito accertato dall’Ufficio.

Simili conclusioni sono avvalorate, tra le altre, dalla sentenza n. 283 del 1987 della Corte Costituzionale, poi seguita anche dalla Corte di Cassazione, in materia di accertamento sintetico di tipo redditometrico[79].

In tali casi la questione sottoposta al vaglio dei giudici era diversa ma lo schema applicativo degli strumenti accertativi il medesimo.

Anche nell’accertamento sintetico di tipo redditometrico, l’art. 38 del D.P.R. 600/1973, che sul tema della prova non dice molto[80] fa riferimento ad un decreto ministeriale, dal quale sorgono analoghi problemi quanto al ribaltamento dell’onere della prova ed ai limiti alla prova contraria.

Ebbene, la Corte Costituzionale e la Corte di Cassazione hanno raccomandato ai giudici di dare un’interpretazione pro contribuente, non troppo vincolata al dato normativo, ammettendo la prova contraria sempre e comunque, anche quando questa sarebbe limitata testualmente dalla norma.

Su questi temi si è pronunciata la giurisprudenza di merito negli ultimi 2 o 3 anni.

A tal proposito sembra interessare ricordare due sentenze del 1999 della Commissione Tributaria Regionale della Basilicata, che dal punto di vista della ricostruzione dell’istituto sono state ritenute le più complete: si tratta delle sentenze 5 luglio 1999, n. 239 e 23 giugno 1999, n. 179.

Molto importanti, inoltre, le sentenze della Commissione tributaria provinciale di Torino, 26 giugno 2001, n. 26 e della Commissione tributaria provinciale di Firenze, 26 novembre 2001, n. 126, che hanno disapplicato i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri in materia di parametri per la mancata acquisizione del previo parere del Consiglio di Stato.

Ancora, estremamente interessante è la pronuncia della Commissione tributaria provinciale di Verbania che, ha annullato per difetto di motivazione un avviso di accertamento basato sui parametri, poiché nella parte motiva non era esposto il ragionamento logico giuridico seguito dall’Amministrazione finanziaria.

La Commissione ha quindi valorizzato la circostanza che in base all’atto ed agli elementi ivi indicati né il contribuente né il giudice erano in grado di comprendere il procedimento logico giuridico in base al quale l’Ufficio è pervenuto a quei risultati né, tantomeno, era possibile verificare eventuali errori di calcolo.

Ancora, nuovamente la Commissione tributaria provinciale di Torino con la sentenza 2 aprile 2002, n. 10/14/02, ha annullato un avviso di accertamento parametrico per eccesso di potere: ciò in quanto le dichiarazioni dei contribuenti che sono risultati in “situazioni anomale” non hanno formato oggetto dell’elaborazione dei parametri.

Il contribuente ha dunque il diritto di provare che il reddito determinabile sinteticamente trova giustificazione in tutto o in parte nel possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o imposta sostitutiva, o ancora che parte del reddito determinato sinteticamente possa essere frutto di disinvestimento patrimoniali o percezione di indennizzi che in maniera del tutto legittima non hanno concorso alla formazione del reddito in sede di dichiarazione.

Si tratta di una prova che può essere richiesta sia in fase istruttoria, mediante un questionario chiamato verbale di colloquio, sia con l’invito di comparizione previsto ai fini dell’accertamento[81].


[1] La Corte di Cassazione ha più volte escluso ogni automatismo dei coefficienti, ritenendo, invece, necessario valutare sempre la situazione effettiva del contribuente. A parere della Suprema Corte, infatti, quando l’art. 12 del D.L. n. 69/1989 parla di “altri elementi specificamente relativi al singolo contribuente”, di cui l’Ufficio deve tenere conto allorché determina induttivamente l’ammontare del reddito nonché quello di singoli componenti positivi o negativi di esso, sulla base dei coefficienti, lascia intendere che, in caso di necessità, i coefficienti presuntivi possono essere integrati o addirittura sostituiti da elementi particolari, propri del contribuente sottoposto a verifica. I coefficienti, quindi, in linea di massima, forniscono una indicazione, che già la stessa amministrazione può superare utilizzando altri elementi, che evidentemente costituiscono dei limiti per lo strumento presuntivo nella situazione concreta. Il che significa, appunto, esclusione di ogni automatismo dei coefficienti e necessità di valutare sempre la situazione effettiva del contribuente. D’altro canto la flessibilità degli strumenti presuntivi è imposta dall’art. 53 Cost., non potendosi ammettere che il reddito venga determinato in maniera automatica, a prescindere da quella che è la capacità contributiva del soggetto sottoposto a verifica. Ogni sforzo, quindi, va compiuto per individuare la reale capacità contributiva del soggetto, pur tenendo presente l’importantissimo ausilio che può derivare dagli strumenti presuntivi, che non possono però avere effetti automatici, che sarebbero contrastanti con il dettato costituzionale, ma che richiedono un confronto con la situazione concreta (confronto che può essere anche vincente per gli strumenti presuntivi allorché i dati forniti dal contribuente risultano inattendibili). Cfr. Cass – Sez. Trib., sentenze 03/02/2006, n. 2411, 25/11/2005, n. 24969 e 15/12/2003, n. 19163.

[2] Per completezza è utile ricordare che nella direttiva generale per l’attività di accertamento sulla base dei parametri previsti dalla legge n. 549/1995, per il periodo d’imposta 1995, oltre ad indicazioni e chiarimenti in ordine alla nuova disciplina, si sottolineava la necessità di valorizzare l’utilizzo dell’istituto dell’accertamento con adesione “allo scopo di creare le premesse per un rapporto meno conflittuale e più trasparente tra l’amministrazione ed i contribuenti”. Cfr. Circ. min., 13 maggio 1996, n. 117, nonché Circ. min., 20 ottobre 1999, n. 203. Tale procedimento di controllo, espressamente previsto al comma 185 dell’art. 3 della citata legge, attraverso la fase del preliminare contraddittorio con il contribuente, consente all’amministrazione di conoscere e considerare le specifiche caratteristiche dell’attività esercitata. A tal fine gli uffici sono tenuti ad inviare ai contribuenti una proposta di accertamento alla quale potrà far seguito la menzionata procedura di definizione ovvero, nel caso in cui la stessa non abbia esito positivo, la notifica dell’avviso di accertamento. Precisa infatti il Ministero che “il risultato dell’applicazione dei parametri non può prescindere dal considerare la peculiarità dell’attività in concreto svolta e pertanto, va adeguato alla particolare situazione dell’impresa”. Nel contraddittorio dunque, il contribuente potrà fornire la prova contraria, motivando e documentando idoneamente le ragioni in base alle quali la dichiarazione di ricavi di ammontare inferiore a quello presunto in base ai parametri può ritenersi in tutto o in parte giustificata, in relazione alle concrete modalità di svolgimento dell’attività. Va infine precisato che la partecipazione del contribuente al procedimento non è obbligatoria e pertanto la mancata risposta all’invito dell’ufficio non è sanzionabile. Per un’ampia indagine sulla diversa natura che assume il contraddittorio nell’ambito della materia tributaria si rinvia a Salvini C., La “nuova” partecipazione del contribuente (dalla richiesta di chiarimenti allo statuto del contribuente ed oltre), in Riv. dir. trib., 2000, I, 13 ss.; nonché da ultimo Miceli A., Il diritto del contribuente al contraddittorio nella fase istruttoria, in Riv. dir. trib. , 2001, II, 371.

[3] Comm. Provinciale di Torino, sez. XIX sent. N. 46 del 19 giugno 2001, in Boll. Trib., n. 11 del 2003, p. 870.

[4] Concorde con tale impostazione e riferito anche alle modalità applicative degli studi di settore Gallo F., La modernizzazione dell’Amministrazione Finanziaria e le politiche di controllo di accertamento, in Rass. Trib., 1996, p. 685 ss.; Russo P., La tutela dei redditi virtuali presunti: problemi generali, in Riv. dir. trib., 1995 p. 1 ss.; Fazzini E., L’accertamento per presunzioni: dai coefficienti agli studi di settore, in Rass. Trib., 1996, p. 309 ss.; più in generale sugli strumenti di tassazione del reddito normale, Moschetti F., La proposta di tassazione del reddito normale: valutazioni critiche e profili di illegittimità costituzionale, in Rass. Trib. 1990, p. 57 ss., Tosi L., Su una ipotesi di tassazione del reddito normale: problematiche applicative e costituzionali, in Riv. dir. fin., 1990, I, 97 ss.; Marongiu G., Coefficienti presuntivi: parametri e studi di settore, in Dir. e prat. Trib., 2002, I,  707 ss.; Garbarono G., Aspetti probatori degli studi di settore, in Rass. Trib., 2001, I, 226 ss. Si veda inoltre Nicastro N., I presupposti e i limiti dell’accertamento in base a parametri e il dovere di speculare, motivazione dell’atto impositivo, in Giur. Merito, 2005, n. 4 Parte III sez. II, 1 ss.

[5] In tal senso Quatraro D. e M., in Boll. Trib., 9 del 2004 p. 647.

[6] Comm. Provinciale di Lecce, sez. VII, sent. N. 229 del 20 settembre 2002, in Riv. giur. trib., n. 1, 2003, p. 44 ss.

[7] Tale impostazione ha trovato conferma in due pronunce della Corte Costituzionale, 1° aprile 2003, n. 105 e ord. 24 aprile 2003 n. 140, entrambe in Boll. Trib., 2003 p. 1585 e 1586, che hanno affermato che le risultanze dei parametri non integrano un fatto noto e certo su cui basare il convincimento del verificarsi del fatto ignoto.

[8] In tal senso Fedele A., Rapporti tra nuovi metodi di accertamento e principio di legalità, in Riv. dir. trib. 1995, I, p. 244 ss.

[9] Panzeri C., I coefficienti presuntivi: parametri e studi di settore, in Dir. e prat. Trib., 7, 2002, p. 717 ss.

[10] Gli artt. 3, comma 181 della legge n. 549 e 62 sexies DL n. 331/93 stabiliscono infatti – come è ben noto – che gli accertamenti di cui all’art. 39, comma 1, lett. d) DPR n. 600/1973 ed all’art. 54 possono essere effettuati, rispettivamente, in base ai parametri ed in base agli studi di settore.

[11] Quindi, una soglia “di garanzia” del 15% per i coefficienti “spesa complessiva su spesa specifica” significa che, applicando il coefficiente “di garanzia” stimato, si individua una spesa complessiva che è inferiore a quella effettiva nell’85% dei casi (mentre è maggiore nel rimanente 15%).

[12] Ad es. mutui, fitti, assicurazioni, incrementi patrimoniali, bollette ENEL e telefoniche.

[13] Ad es. spese per auto, casa, ecc.

[14] Alimentazione e tutte le altre spese non considerate in modo specifico.

[15] Ad esempio “commercianti dei centro Italia con famiglia di K componenti”.

[16] Escluse quelle relative all’utilizzo dei veicoli a motore, sulla vita e quelle contro gli infortuni e le malattie.

[17] In base ai metri quadri per quanto riguarda le abitazioni, o alla cilindrata per gli automezzi per esempio.

[18] Imprenditori e esercenti arti e professioni che si avvalessero della contabilità ordinaria.

[19] L’introduzione  di  strumenti  presuntivi  di  quantificazione  del reddito è dipesa dal fatto che l’amministrazione finanziaria necessitava  di uno  strumento  che  consentisse  l’individuazione  dei  ricavi  o  compensi occultati senza la necessità di procedere a complesse attività  di  verifica presso la sede del contribuente. Tale esigenza  è  una  diretta  conseguenza della politica legislativa  degli  anni  settanta  (ma  che  trova  illustri precedenti nella politica fiscale  di  Vanoni)  a  seguito  della  quale  il reddito di impresa e di lavoro autonomo è stato  ancorato  alla  contabilità del contribuente.

[20] Di conversione del D.L. 19 dicembre 1984, n. 853.

[21] Così circ. Min. Fin., n. 117/E del 13 maggio 1996.

[22] Gli studi di settore sono realizzati  rilevando,  per  ogni  singola attività economica, le relazioni esistenti  tra  le  variabili  contabili  e quelle strutturali, sia  interne  (processo  produttivo,  area  di  vendita, etc.), sia esterne all’azienda o all’attività professionale (andamento della domanda, livello dei prezzi, concorrenza, etc.). Il software di applicazione degli studi di settore, mediante il quale è possibile conoscere i ricavi o i compensi presunti in base agli studi stessi, è stato  denominato  “Ge.Ri.Co” (Gestione dei Ricavi o Compensi).

[23] Nella fase di elaborazione gli studi di settore tengono  conto  tra l’altro del  contesto  territoriale  in  cui  le  attività  vengono  svolte, prendendo  in  considerazione  il  livello  dei  prezzi,  le  infrastrutture esistenti ed utilizzabili, la capacità di spesa, la tipologia di fabbisogni. Tali fattori possono incidere  notevolmente  sulla  capacità  della  singola azienda di produrre ricavi e particolari elaborazioni statistiche consentono a Gerico di rilevare il fattore territorialità in  modo  da  incidere  nella procedura di determinazione della “funzione di regressione”.

[24] L’art. 3, commi da 121 a 124, della L. n. 662/1996 ha  previsto  la comunicazione di dati contabili ed extracontabili, da  effettuarsi  mediante apposito questionario, il cui contenuto è stato definito a livello  centrale in stretto rapporto con le associazioni di categoria (cfr.  circ.  n.  205/E del 13 luglio 1997).

[25] Previo parere della Commissione di esperti, in merito  all’idoneità dei singoli studi di settore a rappresentare la realtà economica cui essi si riferiscono. Altro compito della Commissione  è  quello  di  raccogliere  ed esaminare  le  osservazioni  fornite  dagli  Osservatori  provinciali   (ora regionali) e di monitorare continuamente gli studi già approvati in modo  da verificarne la validità nel tempo (cd. validazione dello studio), nonché  di indicare le cause di inapplicabilità dello strumento.

[26] Unitamente  ad  una  nota  metodologica,  che  ne  rappresenta  il complesso iter formativo.

[27] Le associazioni di categoria hanno partecipato alla predisposizione dei   questionari   per   la   raccolta   delle   informazioni    necessarie all’elaborazione  degli  studi  e  alla  validazione  degli   stessi. Tale collaborazione è proseguita prima all’interno degli Osservatori provinciali, e successivamente in  quelli  regionali,  istituiti  con  Provvedimento  del Direttore dell’Agenzia dell’8 ottobre 2007. Questi ultimi hanno la  funzione di rilevare informazioni utili  a  migliorare  la  capacità  degli  studi  a rappresentare la realtà  cui  si  riferiscono,  informazioni  periodicamente trasmesse  alla  Commissione  degli  esperti  e  alla   Direzione   Centrale Accertamento.

[28] L’analisi della congruità è condotta sulla base dei dati dichiarati dal contribuente e determina i  livelli  minimi  e  puntuali  dei  ricavi  e compensi attribuiti dal software  alla  specifica  attività  svolta.  Gerico attesta, dunque, se i ricavi o i compensi dichiarati sono in  linea  con  le stime elaborate dal software rispetto al valore di riferimento calcolato per lo specifico contribuente. In caso di mancata congruità gli  uffici  possono procedere ad accertamento sulla base degli studi di settore.

[29] Gerico è in  grado  di  verificare  la  presenza  di  anomalie  sul versante  della  gestione  dei  fattori  produttivi.  L’incoerenza  esprime, infatti, una valutazione circa la  validità  economico-aziendalistica  degli schemi  organizzativi  impiegati.  Si  osserva,  peraltro,   che   in   sede applicativa si è verificato come l’incoerenza  possa  derivare  anche  dalla dichiarazione di ricavi o compensi  notevolmente  superiori  alle  medie  di settore. Situazioni di incoerenza  di  tali  indicatori  non  consentono  di effettuare accertamenti in base agli studi  di  settore,  ma  unicamente  di selezionare le posizioni da sottoporre a controllo.

[30] La metodologia utilizzata da Gerico consente di assegnare  ciascuna impresa  o  professionista  ad   un   gruppo   omogeneo   di   appartenenza, rappresentativo del modello organizzativo di  settore.  Per  ciascun  gruppo omogeneo, scartati i ventili estremi, è stata individuata  una  funzione  di regressione multipla, che descrive l’andamento dei ricavi e dei compensi  in relazione alle specifiche variabili contabili e strutturali  dell’azienda  o dell’attività professionale. Lo  studio  di  settore  viene  poi  completato attraverso la cd. “analisi discriminante”,  allo  scopo  di  assegnare  ogni soggetto ad uno o più cluster.

[31] Cfr. Cass., Sez. trib., 3 febbraio 2006, n. 2411 (in Banca Dati BIG, IPSOA), secondo cui “poiché l’onere tributario dev’essere iporagguagliato all’effettiva capacità contributiva (art. 53 della Costituzione), non è adeguatamente motivato l’avviso di accertamento dei redditi che faccia esclusivo riferimento ai criteri presuntivi previsti dal D.P.C.M. 22 dicembre 1989, senza indicare gli ulteriori elementi che confortino l’utilizzo del “redditometro” e consentano di respingere le argomentazioni del contribuente”. Sul punto, giova precisare come la giurisprudenza sia piuttosto altalenante; infatti, la Suprema Corte, Sez. trib., con sentenza 11 gennaio 2006, n. 328 (in Banca Dati BIG, IPSOA), ha ribadito la legittimità dell’avviso di accertamento motivato con il mero richiamo al redditometro, che ha un’efficacia presuntiva di tipo relativo e determina l’onere, per il contribuente, di fornire elementi in senso contrario. Si vedano anche Cass., Sez. trib., 5 ottobre 2005, n. 19403 (in Banca Dati BIG, IPSOA), secondo cui “il ricorso ai parametri contenuti nei cosiddetti “redditometri”, previsti dalla legge ed emanati dall’Autorità amministrativa, esonera l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova e le consente di emettere un valido avviso di accertamento ricorrendo ad un mero calcolo matematico; resta onere del contribuente fornire in sede giudiziaria la prova contraria a quanto dedotto attraverso il “redditometro”“, nonché, Id., 30 settembre 2005, n. 19260 (in Banca Dati BIG, IPSOA), secondo cui “la regolarità formale della contabilità d’impresa non preclude l’accertamento induttivo, sia quando il reddito che ne risulti contrasti radicalmente con i parametri della ragionevolezza (quali possono emergere dalle percentuali di ricarico), sia quando tale reddito sia rideterminato mediante il ricorso ad elementi indiziari (anche percentuali di ricarico) che siano confortati da specifiche considerazioni attinenti al settore di attività ed ai caratteri dell’azienda” (nel caso di specie, la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso contro la sentenza di merito che aveva motivatamente ritenuto, per un’azienda fornitrice di carni ad aziende sanitarie, inattendibile la percentuale di ricarico del 10% e congruo il ricarico del 20% indicato dall’Ufficio). Ed ancora, Comm. trib. reg. Lazio, Sez. XII, 11 ottobre 2005, n. 76 (in Banca Dati BIG, IPSOA), secondo cui “l’applicazione dei coefficienti presuntivi di reddito, di cui al D.M. 10 settembre 1992, ai fini dell’accertamento in rettifica delle dichiarazioni dei redditi presentate dalle persone fisiche, fondati sulla comune esperienza che il possesso di taluni beni si giustifichi attraverso il possesso di redditi adeguati (id quod plerumque accidit), determina una presunzione a favore dell’amministrazione finanziaria superabile attraverso la produzione di prova contraria il cui onere incombe sul contribuente”. Parimenti, Cass., Sez. trib., 15 dicembre 2003, n. 19163 (in Corr. Trib. n. 13/2004, pag. 1024, con commento di C. Grimaldi e in GT – Riv. giur. trib. n. 5/2004, pag. 444, con note di riferimento di M. Ravaccia) afferma che “gli strumenti induttivi di accertamento dei redditi, disciplinati dagli artt. 11 e 12 del D.L. 2 marzo 1989, n. 69 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 154 del 1989), non derogano al principio di cui all’art. 53 della Costituzione, che esclude che il reddito possa venir determinato a prescindere dalla (effettiva) capacità contributiva del soggetto sottoposto a verifica. È sempre consentito al contribuente, infatti, fornire la prova della inapplicabilità dei parametri al caso concreto; e tale prova può essere costituita, in assenza di indicazioni normative specifiche contrarie, anche da presunzioni che il giudice può valutare nel suo prudente apprezzamento”.

[32] Cass., Sez. trib., 9 agosto 2002, n. 12060, in Banca Dati BIG, IPSOA; Id., Sez. III, 24 aprile 2001, n. 6038; Id., 18 gennaio 2000, n. 491.

[33] Ovvero l’esistenza di redditi esenti o in ipotesi già tassati alla fonte con ritenuta a titolo d’imposta.

[34] Cfr. Cass., Sez. trib., 15 novembre 2000, n. 14778, in Banca Dati BIG, IPSOA.

[35] Cfr. Cass., Sez. trib., 17 marzo 2006, n. 5991 (in Banca Dati BIG, IPSOA), secondo cui, “ove l’amministrazione (finanziaria) proceda all’accertamento dei redditi del contribuente in base alla presunzione secondo cui l’acquisto di beni di ingente valore è indizio del possesso di un reddito adeguato a sorreggere l’acquisto stesso, il contribuente (…) – per contrastare simile presunzione – (…) può fornire la prova di ciò con ogni mezzo (…)”. Nel caso della sentenza n. 5991/2006, cit., il contribuente aveva sostenuto che il contratto di acquisto era simulato, in quanto i beni in questione gli erano stati donati dagli (apparenti) venditori, talché tale elemento era stato ritenuto sufficiente per l’annullamento dell’avviso di accertamento, essendo venuti meno la corrispondente capacità contributiva e gli indizi circa l’esistenza di materia imponibile sottratta a tassazione.

[36] Cfr. Cass., Sez. trib., 17 giugno 2002, n. 8665, in Corr. Trib. n. 47/2002, pag. 4300, con commento di A. e M. Amatucci. Nello stesso senso, inoltre, cfr. Cass., Sez. I civ., 28 ottobre 1995, n. 13089 (in GT – Riv. giur. trib. n. 6/1996, p. 535, con commento di Baldassari A., Accertamento sintetico sulla base di indici di spesa e di risparmio, e in Banca Dati BIG, IPSOA), secondo cui “per giustificare la determinazione sintetica di maggiori redditi in capo al contribuente non è necessario che l’ufficio individui analiticamente i singoli cespiti da cui tali redditi sarebbero tratti, essendo sufficiente che esso individui gli elementi o le circostanze che denotano una capacità di spesa superiore ai redditi dichiarati o esenti”, riprendendo temi e principi già espressi ed enunciati con Cass., 16 gennaio 1991, n. 341 (in Corr. Trib. n. 10/1991, pag. 737); Id., 29 aprile 1992, n. 5171 (in Banca Dati BIG, IPSOA); Id., 30 marzo 1994, n. 3138 (in GT – Riv. giur. trib. n. 6/1994, pag. 551, con note di riferimento, e in Banca Dati BIG, IPSOA); Id., 28 settembre 1994, n. 7905 (in GT – Riv. giur. trib. n. 5/1995, pag. 459, con note di riferimento, e in Banca Dati BIG, IPSOA); Id., 3 novembre 1995, n. 11463 (in Banca Dati BIG, IPSOA).

[37] Nel caso di specie la capacità contributiva era stata legittimamente dedotta dall’acquisto, a titolo parzialmente oneroso, di un complesso di immobili, senza che l’acquirente avesse dimostrato che, in realtà, si trattava di una donazione.

[38] Cfr. Cass., Sez. I civ., 7 marzo 1995, n. 2653, in GT – Riv. giur. trib. n. 9/1995, pag. 878, con note di riferimento, e in Banca Dati BIG, IPSOA.

[39] Per un’approfondita disamina dell’istituto si rinvia, per tutti, a Capolupo S., Manuale dell’accertamento delle imposte, IPSOA, 2001, pagg. 1005 ss.

[40] Cass. n. 2653/1995.

[41] Cass., Sez. trib., 13 novembre 2000, n. 14691 (in Banca Dati BIG, IPSOA): “merita dunque conferma la sentenza del giudice di merito che ritenga giustificato l’accertamento in presenza di spese per l’acquisto di un immobile, di accensione di un mutuo, di un elevato tenore di vita”).

[42] In tal senso Cass., Sez. trib., n. 13089 del 1995.

[43] In GT – Riv. giur. trib. n. 12/1995, pag. 1156, con note di riferimento, e in Banca Dati BIG, IPSOA

[44] In Banca Dati BIG, IPSOA.

[45] Nello stesso senso, Cass., Sez. I civ., 24 aprile 1991, n. 341, in Corr. Trib. n. 10/1991, pag. 737; Comm. trib. centr., Sez. III, 27 ottobre 1990, n. 6997, in Banca Dati BIG, IPSOA. Inoltre, in relazione alle ingenti spese che non trovano giustificazione nei redditi dichiarati, Cass., Sez. I civ., 5 luglio 1990, n. 7090 (in Corr. Trib. n. 46/1990, p. 3243), sebbene non manchi qualche orientamento contrario, secondo cui spetterebbe all’amministrazione finanziaria fornire la prova che la disponibilità dimostrata dall’acquisto di beni derivi da redditi percepiti in un determinato periodo (cfr. Comm. trib. centr., Sez. XXVII, 1° ottobre 1990, n. 6183, in Banca Dati BIG, IPSOA).

[46] Comm. tribut. reg. Friuli Venezia Giulia, 2 aprile 1999, n. 21, in Guida normativa, 1999, n. 162, 30.

[47] Divieto di imposizione di prestazioni patrimoniali non previste dalla legge e principio di imposizione secondo la capacità contributiva.

[48] Allorio C., La certezza del diritto dell’economia, in Il diritto dell’economia, 1956, 1198.

[49] Lupi R., Diritto tributario, pt. g., Milano, 2000, 37.

[50] Lupi, op. cit., 36 ss.

[51] Lupi, op. cit., 36 e ss.

[52] Tesauro F., Istituzioni di diritto tributario, I, pt. g., Torino, 1997, 14.

[53] Giannini A., I rapporti tributari, in Commentario sistematico alla Costituzione italiana, Firenze, 1950, vol. I.

[54] Comm. tribut. 1° grado Ravenna, sez. I, 27 maggio 1994, n. 773, in Fisco, 1994, n. 39, 9483; Comm. Tribut. 1° grado Reggio Emilia, sez. VII, 15 giugno 1994, n. 281, in I Quattro Codici della riforma Tributaria big – cd-rom Ipsoa; Comm. tribut. prov. Piacenza, 22 gennaio 1992, n. 933, in Corr. trib., 1992, n. 37; Comm. tribut. prov. Milano 24 aprile 1991, in Corr. Trib., 1991, n. 28, 2109.

[55] Comm. tribut. Pprov. Treviso, sez. I, 2 marzo 1999, n. 51, in Fisco 1999 n. 20, 6829.

[56] Comm. tribut. reg. Emilia Romagna, sez. X, 25 marzo 1997, n. 10, in Corr. Tribut., 1998, n. 3, p. 206; Comm. tribut. reg. Marche, sez. V, 5 maggio 1998, n. 55, ivi, 1998, n. 33, 2472; Comm. tribut. reg. Toscana, 22 marzo 1999, n. 17; Comm. tribut. reg. Lombardia, 2 febbraio 1999, n. 3; Comm. tribut. reg. Emilia Romagna, 9 giugno 1999, n. 182; Comm. tribut. reg. Friuli-Venezia Giulia, 21 settembre 1999, n. 43 e n. 44, in Corr. tribut., 1999, n. 18, p. 1344.

[57] Cfr. Calcagno M., Sulla retroattività del c.d. “redditometro”, in Diritto e Pratica tribut., 2000, p. II, 402.

[58] Comm. Trib. Prov. Milano, 25 marzo 1999, n. 148 e n. 150, in I Quattro Codici della riforma Tributaria big – cd-rom Ipsoa; Comm. tribut. prov. Milano, 13 maggio 1999, n. 216 e n. 217, in I Quattro Codici della riforma Tributaria big – cd-rom IPSOA; Comm. tribut. Prov. Frosinone, 17 marzo 2000, n. 48 in Guida normativa n. 169 del 22 settembre 2000, 14; Comm. tribut. prov. Firenze, 17 marzo 2000, n. 51, in Fisco, 1999, n. 34.

[59] Gavelli, L’applicazione “retroattiva” del redditometro alimenta il contenzioso, in Corr. Tribut,. 2000, n. 43.

[60] Comm. tribut. reg. Emilia Romagna, sez. I, 3 febbraio 1999, n. 151, in Fisco, n. 40/1999, 12738; Comm. Trib. Reg. Toscana, 27 gennaio 2000, n. 14.

[61] Comm. tribut. prov. Modena, 27 aprile 1999, n. 1040, in I Quattro Codici della riforma Tributaria big – cd-rom Ipsoa.

[62] Cass., 24 novembre 1999, n. 2510, in Fisco, 2000, n. 23, 7608.

[63] Interrogazione e risposta parlamentare, 26 marzo 1998, n. 5-04096 in Fisco, 1998, 28, p. 9395.

[64] In Fisco, 1999, n. 19, 6531.

[65] Lo Giudice, Accertamento sintetico la sua evoluzione normativa e criteri di applicazione per i periodi d’imposta antecedenti alla novella del 1991, in Fisco, 2001, n. 25, p. 8767.

[66] Ad esempio, quello riguardante l’IRAP che presuppone l’esercizio abituale di un’attività diretta alla produzione e allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi.

[67] Lamedica T., Redditometro e liste selettive, in Corr. Trib. n. 7/2007, p. 3091.

[68] Un primo esame dei contenuti è compiuto da C. Pino, nel commento a Cass., 20 giugno 2007, n. 14367, in Corr. Trib. n. 35/2007, p. 2849.V. inoltre Criscione A., Redditometro ricco di dati, in Il Sole – 24 Ore del 11 agosto 2007, e Antico G., Il Fisco spinge sul redditometro, in Il fisco, 2007, I, p. 4530.

[69] In Corr. Trib. n. 7/2007, p. 588, con commento di R. Nisi.

[70] Sostanzialmente si fa ancora riferimento al D.M. 10 settembre 1992 – peraltro articolato su una vera e propria parte normativa integrativa dell’art. 38, complementare a quella propriamente tabellare -, come sostituito, e agli aggiornamenti periodici relativi alla quantificazione del reddito (da ultimo, provvedimento direttoriale 14 febbraio 2007).

[71] Non è chiarissimo il rapporto tra comunicazione ed invito a comparire: come è stato messo in luce, se la prima si identifica con il secondo, ne deriverebbe per tutti i contribuenti la possibilità di accedere all’adesione solo in sede procedimentale, senza poter presentare istanza dopo la notifica dell’avviso di accertamento; se invece, come pare più corretto, la comunicazione è qualcosa di diverso dall’invito a comparire (la prima è infatti del tutto neutra, il secondo potrebbe già anticipare la bozza di avviso di accertamento), l’adesione dovrà essere attivata mediante la notifica di un invito a comparire, ed in mancanza potrà sempre essere presentata istanza dopo la notifica dell’atto conclusivo: v. Nocera C., Il redditometro anticipa il confronto con il fisco”, in Il Sole – 24 Ore del 25 agosto 2007, p. 21.

[72] Pino C., op. cit.; Deotto D., Redditometro ad efficacia parziale, in Il Sole – 24 Ore del 1° settembre 2007.

[73] Anche se la circolare non ne parla, qualche elemento di prova contraria, nel senso di dimostrazione di disponibilità di risorse non tassabili, può ancora derivare dall’eventuale accesso del contribuente al rimpatrio di attività detenute all’estero, nell’ambito della disciplina del cd. scudo fiscale (D.L. 25 settembre 2001, n. 350, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 409). L’accumulo di risorse, poi regolarizzate in base a tale normativa – circostanza quest’ultima verificabile dal fisco, dato che, in base alla circolare 4 aprile 2007, n. 18/E, in Corr. Trib. n. 20/2007, pag. 1659, con commento di R. Nisi, gli intermediari finanziari sono comunque obbligati a dare comunicazione del conto utilizzato a tal fine, pur senza poterne rivelare i contenuti -, è infatti da considerare protetto da accertamenti fiscali.

[74] Cfr sentenze 19252/2005, 14161/2003, 12731/2002, 11611/2001.

[75] Come, ad esempio, il possesso di autovetture non identificate attraverso l’anno di acquisto e le loro caratteristiche specifiche, le spese di gestione familiare non dettagliate nelle circostanze concrete in cui le stesse si traducono eccetera.

[76] Si pensi al caso dell’autovettura di grossa cilindrata intestata al figlio ma “mantenuta” da uno o da entrambi i genitori.

[77] Busani A., Difesa familiare dal fisco, in Il Sole – 24 Ore del 19 agosto 2007.

[78] Ad esempio, i redditi agrari tassati non in base al reddito effettivamente prodotto, bensì alle rendite catastali aggiornate.

[79] Per un approfondimento in materia di accertamento sintetico vd. Tinelli G., L’accertamento sintetico del reddito complessivo nel sistema dell’irpef, Padova, 1993; Batistoni Ferrara F., I principi della riforma tributaria: accertamento sintetico e redditometro, in Dir. prat. trib., 1994, I, p. 705; Tosi L., Condizioni e limiti dell’efficacia probatoria del redditometro, in Rass. trib., 1989, I, p. 417.

[80] Detta disposizione si limita a stabilire che “L’ufficio, indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi precedenti e dall’articolo 39, può, in base ad elementi e circostanze di fatto certi, determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato. A tal fine, con decreto del Ministro delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, sono stabilite le modalità in base alle quali l’ufficio può determinare induttivamente il reddito o il maggior reddito in relazione ad elementi indicativi di capacità contributiva individuati con lo stesso decreto quando il reddito dichiarato non risulta congruo rispetto ai predetti elementi per due o più periodi di imposta”, che “qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la stessa si presume sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei cinque precedenti” e che “il contribuente ha facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta. L’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”.

[81] Per esempio, se il reddito dichiarato dal contribuente apparisse ingiustificato sulla base delle sue disponibilità, questi potrebbe altresì giustificarsi indicando nel questionario che non sostiene interamente le spese connesse alla disponibilità del bene, ma che le stesse sono sostenute sia mediante il suo reddito che con il reddito degli altri componenti del nucleo familiare; a tal fine è sufficiente che nel questionario indichi la percentuale di spesa effettivamente sostenuta per la disponibilità del bene e il codice fiscale del soggetto che contribuisce a sostenere le spese connesse alla disponibilità dei beni posseduti o utilizzati. Nel caso in cui queste spese risultino sostenute da più soggetti, il contribuente dovrà indicare la persona che ne sostiene la quota più alta.

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