E’ sempre inerente e, come tale, deducibile dal reddito, il costo correlato all’attività effettivamente svolta, anche se in via indiretta, potenziale o futura, a prescindere dai maggiori ricavi che abbia consentito di far conseguire all’impresa o al lavoratore autonomo.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

l. Con ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli la parte contribuente [omissis] s.p.a. ha agito nei confronti dell’Agenzia delle Entrate impugnando avviso di accertamento per l’anno di imposta 2012. emesso dall’Ufficio grandi contribuenti, relativo a un maggior imponibile per Ires e lrap, a seguito di p.v.c. della Guardia di Finanza in data 17.12.2015.

2. Sì è costituita l’Agenzia, eccependo, con note di controdeduzione, l’infondatezza del ricorso, chiedendone il rigetto.

3. Con sentenza n. 2860 depositata il 21.3.2018 la Commissione Tributaria Provinciale ha deciso l’accoglimento del ricorso proposto e la condanna dell’Agenzia alle spese.

4. Avverso la suddetta sentenza ha proposto appello l’Agenzia.

5. Si è costituita in giudizio in seconde cure la parte contribuente e ha depositato tempestive controdeduzioni, chiedendo il rigetto dell’appello e l’integrale conferma della sentenza impugnata.

6. In data odierna, espletati gli incombenti di cui a verbale, la controversia è stata decisa come in dispositivo..

MOTIVI DELLA DECISIONE 

l. Con l’appello l’Ufficio ha impugnato la sentenza della CTP, che ha ritenuto – fermo “l’onere della prova in ordine all’esistenza e all’inerenza [dei] costi incombe sulla parte contribuente, derivando dal servizio una utilità effetti va, essendo però solo necessario che il costo sia collegato all’impresa in quanto tale- “dimostrati sia la effettività delle prestazioni, sia l’utilità delle stesse rispetto allo scopo imprenditoriale tipico e infine l’esistenza del nesso strumentale fra costi e tipologia sostanziale di attività espletata” (così p. 3 della sentenza impugnata).

2. Trattasi di disconoscimento da parte dell’Agenzia di costi connessi a consulenza immobiliare infragruppo per euro 210.000 nell’esercizio in esame. La [omissis] è una grande contribuente operante nella commercializzazione di gpl e prodotti petroliferi; soprattutto da quando ha incorporato altra società, detiene un importante patrimonio immobiliare. E’ partecipata da quattro società, una delle quali è la [omissis]. E’ pacifico che sussiste un contratto che prevede l’erogazione del servizio di “consulenza, analisi e studio” da parte della [omissis] a favore della [omissis] ai fini della gestione del patrimonio immobiliare; in esecuzione di detto contratto risulta fatturato il predetto corrispettivo contestato.

3. Non risultando la riproposizione in appello delle questioni non esaminate, anche in quanto assorbite in primo grado, questa CTR deve soltanto esaminare il predetto centrale motivo d’appello dell’Agenzia che, siccome fondato, assorbe ogni altro profilo.

4. In effetti erroneamente la CTP ha ritenuto, sulla base del solo contratto e della documentazione in atti, provata l’effettività e l’inerenza dei costi rappresentati da presunti pagamenti per consulenza infragruppo.

5. In ordine al concetto di inerenza, con due note recenti ordinanze (Cass. nn. 450/2018 e 3170/2018), ha rivisto la nozione per cui l’inerenza, sancita dall’art. 109, comma 5 TUIR., sarebbe principio in base al quale le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, dagli oneri fiscali e contributivi, sarebbero deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito, o che non vi concorrono in quanto esclusi; a tale nozione si era aggiunta anche quella quantitativa, secondo la quale una spesa era inerente, in ragione di una sua congruità rispetto alla complessiva attività dell’impresa. Con il revirement del 2018 la S.e. ha invece affermato che la predetta disposizione del Tuir ha solo la funzione di stabilire che, ove alla formazione dell’imponibile fiscale concorressero ricavi esenti, allora non sarebbe possibile dedurre oneri che derivano dalle attività o dai beni da cui originano tali proventi esenti. Pertanto, l’inerenza non discende da questa disposizione del Tuir, bensì dalla nozione di reddito d’impresa. La valutazione dell’inerenza d i costi consiste sempre e solo in un giudizio “qualitativo” “scevro da riferimenti di utilità o di vantaggio, afferenti un giudizio quantitativo, e deve essere distinta dalla nozione di congruità del costo”. Pertanto l’eccessiva onerosità, secondo quanto affermato dalla S.C., continua ad avere rilevanza per la contestazione dell’indeducibilità dei costi, ma solo come indizio di estraneità (appunto qualitativa) all’impresa. La giurisprudenza di legittimità, con riferimento alla valutazione di congruità ed economicità della spesa, ha precisato che è riservato all’Amministrazione il potere di valutare le componenti attive e passive secondo “il normale valore dì mercato”, che costituisce un principio generale deducibile dall’articolo 9 Tuir. I principi in parola sono stati nuovamente ribaditi dalla Suprema Corte con una recente pronuncia (Cass. n. 13882/2018), nella quale si è affermato che è sempre inerente e, come tale, deducibile dal reddito, il costo correlato all’attività effettivamente svolta anche se in via indiretta, potenziale o futura, a prescindere dai maggiori ricavi che abbia consentito di far conseguire all’impresa o al lavoratore autonomo. In un’altra recente pronuncia (Cass.n. 14579/2018), la Suprema Corte, aderendo all’orientamento del carattere qualitativo dell’inerenza dei costi, specifica che “…l’abbandono dei requisiti della vantaggiosità e della congruità del costo non vuol significare che essi siano del tutto esclusi dal giudizio dì valore cui resta comunque sottoposta la spesa al fine del riconoscimento della sua inerenza e dei suoi presupposti per la sua deducibilità”. Il giudizio quantitativo o di congruità non quindi del tutto irrilevante, collocandosi, invece, su un diverso piano logico c strutturale. La questione, infatti, si collega all’onere della prova dell’inerenza del costo, che incombe sul contribuente, laddove la prova deve investire i fatti costitutivi del costo. Il contribuente è tenuto a provare (e documentare) l’imponibile maturato e, dunque, l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi c la sua concreta destinazione alla produzione.

6. Nel caso di specie, dunque, trattandosi di consulenza per la gestione degli immobili della società, non si può non convenire circa la conclusione accolta dalia sentenza della CTP circa la (astratta) inerenza del costo. Altro è però, come si è detto, ritenere assolto l’onere probatorio da parte della contribuente in ordine all’esistenza e alla natura del costo, con i relativi fatti giustificativi c la destinazione alla produzione.

7. Nel caso di specie – la mancata valutazione dì tali dati sì rimprovera ai primi giudici militano nel senso dell’inesistenza del costo, quali altrettanti indizi fondanti presunzioni gravi, precise e concordanti (per la gravità avendosi presente che il fatto ignoto dell’inesistenza è raggiunta con ragionevole certezza probabilistica; con riguardo al requisito di gravità i fatti noli di cui in appresso non sono vaghi, ma ben determinati nella loro realtà; quanto alla concordanza , la pluralità di fatti noti converge nella dimostrazione dell’inesistenza del fatto ignoto, senza che emergano seri elementi in contrario), i seguenti fatti:

– anzitutto, l’esistenza effettiva di rapporti infragruppo, con possibilità connessa di pianificazione fiscale volta a caricare introiti su componenti del gruppo a più bassa contribuzione, quale è la [omissis] (cfr. controdeduzioni dell’Ufficio):

– l’esistenza del contratto di consulenza, non avente però alcuna data certa o elemento di esteriorizzazione all’esterno del gruppo:

– la documentazione del rapporto di consulenza, consistita soltanto nella fattura anzidette e in una serie di “visti” su fatture direttamente intercorse tra fornitori di servizi (manutenzione e simili) relativi agli immobili e la [omissis] s.p.a.; nonché pochi altri scarni elementi documentali e di corrispondenza.

In tale contesto, a fronte dell’elevato numero di compiti, derivanti dal contralto (cfr. elencazione alla p. 9 delle controdeduzioni di appello: ricerca e valutazione di proposte di investimento, reportistica sulla consistenza e redditività del patrimonio immobiliare: amministrazione locativa; valutazione del patrimonio immobiliare; monitoraggio degli incassi; gestione dci rapporti con i condomini; autorizzazione ai pagamenti; rendicontazioni “gli avanzamenti dei lavori; intervento nella stipula dei contratti di locazione; supporto al legale aziendale per il recupero verso i morosi, ecc.) risulta effettuata in maniera congrua e coerente soltanto, l’attività di “apposizione di visti di conformità convalida di ordini, pagamenti, fatture ” e ciò mediante meri timbri di approvazione, anch’essi senza caratteristiche di certezza, ben apponibili anche ex post.

ln sintesi, essendo ben scarsa l’evidenza dimostrativa dei siffatti “visti” non può ritenersi – a fronte dell’onere incombente sulla parte contribuente della prova dei fatti costitutivi del costo­ che essa sia stata fornita con ragionevole certezza probabilistica quanto a imponibile maturato e, dunque, quanto all’esistenza e alla natura dei costi, i relativi fatti giustificativi (allo stato appare solo in essere un controllo dì congruità su talune manutenzioni, se sussistente comunque con sproporzione rispetto all’importo di euro 210.000) e, soprattutto, la concreta destinazione dei costi alla produzione.

8. In definitiva, l’appello è fondato. Il fondarsi il convincimento della CTR, comunque, sull’anzidetto ragionamento presuntivo, pura fronte della regola dell’onere della prova a sfavore della contribuente, giustifica la compensazione delle spese del doppio grado.

P.Q.M. 

la Commissione Tributaria Regionale della Campania sez. n. 21, definitivamente pronunciando, così provvede:

accoglie l’appello e per l’effetto rigetta il ricorso introduttivo; compensa le spese del doppio grado.

Così deciso in Napoli in data 5.4.2019