Con la sentenza qui impugnata da Agenzia Entrate Riscossione e da Agenzia Entrate DP di Prato, la CTP pratese aveva accolto il ricorso proposto dalla contribuente avverso il Preavviso di Fermo Amministrativo notificato dall’Agente della Riscossione.
Secondo i Primi Giudici è intervenuta la prescrizione, in quanto in assenza di giudicato la prescrizione, anche per quanto statuito dalla Suprema Corte a SSUU con sentenza n.23397 del 2016, deve intendersi breve, di 5 anni e non ordinaria di 10 anni, periodo di tempo riservato ai crediti scaturiti o confermati da sentenze passate in giudicato. Il bene sottoposto a fermo, inoltre, ma il motivo deve intendersi assorbito, è da ritenersi strumentale all’ attività esercitata.
Stante la incostante giurisprudenza, viene disposta la compensazione delle spese.
L’Agenzia Entrate Riscossione nell’appello, eccepisce l’errata valutazione del termine di prescrizione del credito.
Richiama quanto affermato in sede di costituzione nel giudizio di primo grado, mentre per quanto è riferito alla richiamata sentenza n. 23397 del 2016 della S.C. afferma che non stabilisce affatto che la prescrizione deve essere ritenuta quinquennale. Sul punto argomenta con ulteriori richiami normativi e giurisprudenziali e conclude con la richiesta di riforma della sentenza impugnata con conseguente reiezione del ricorso introduttivo e la condanna di controparte alle spese di giudizio.
Analogamente l’Agenzia delle Entrate che peraltro insiste sulla estromissione dal giudizio.
Si costituisce parte contribuente appellata che ribadisce che la cartella esattoriale non può essere ritenuta un titolo esecutivo, pertanto è soggetta a prescrizione breve come ha statuito la Suprema Corte con la più volte richiamata sentenza n. 23397 del 2016.
Conclude per la richiesta di conferma della decisione impugnata, l’annullamento del fermo amministrativo, la ripetizione di quanto eventualmente indebitamente versato, nonché per la condanna di controparti al rimborso delle spese legali e degli oneri accessori e di legge per entrambi i gradi di giudizio. In seduta il rappresentante di Agenzia Entrate Riscossione riferisce che la cartella relativa alla CCIA è stata oggetto di definizione agevolata.

OSSERVA

Prioritariamente si deve dare atto della dichiarazione del difensore di Agenzia Entrate Riscossione che comunica che la cartella relativa ai tributi dovuti alla CCIA, è stata definita con modalità agevolata; pertanto per quella sola cartella deve essere dichiarata la cessata materia del contendere.

Per le cartelle residue, deve essere valutato se sia intervenuta o meno la prescrizione. L’appellante sostiene che alle cartelle esattoriali, in quanto espressione del ruolo, che viene definito titolo esecutivo, si applica la prescrizione decennale ex art. 2946 cc. E che quindi l’emissione del fermo amministrativo, avvenuta entro tale termine è pienamente legittima, anche per la mancata impugnazione della cartella prodromica del fermo. La realtà è ben diversa.
Secondo l’orientamento consolidato della Suprema Corte, la prescrizione decennale, che deriva da “cosa passata in giudicato” prevista all’art. 2953 del cc non si applica ai crediti erariali. La mancata impugnazione della cartella non assume affatto la consistenza giuridica del giudicato. La sentenza 23397/2016 della Suprema Corte a Sezioni Unite, dopo aver trattato come sia costante l’orientamento nella moltitudine di pronunciamenti in materia, afferma: “è di applicazione generale il principio secondo il quale la scadenza del termine perentorio stabilito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito ma non determina anche l’effetto della c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 cod. civ. Tale principio, pertanto, si applica con riguardo a tutti gli atti – comunque denominati – di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie, nonché di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali nonché delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via. Con la conseguenza che, qualora per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l’opposizione, non consente di fare applicazione dell’art. 2953 cod. civ., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo”.
La sentenza richiamata scaturisce da un giudizio concernente i contributi INPS, ma dall’escursus dei Giudici, si evidenzia come il principio sia applicabile a tutti i crediti di origine tributaria.

In altri termini, la mancata impugnazione della cartella esattoriale, sancisce la irretrattabilità del credito, ma non assume alcun effetto giurisdizionale di cosa passata in giudicato.

Assorbita ogni altra eventuale eccezione, il ricorso in appello dell’Agenzia delle Entrate Riscossione deve essere respinto.

La stessa appellante principale, soccombente nel procedimento deve essere condannata al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio, liquidate come da dispositivo, in favore di parte contribuente appellata.

P.Q.M.

Dichiara cessata la materia del contendere per quanto riguarda le cartelle riferite alla CCIAA.
Respinge nel resto l’appello.
Condanna l’appellante al pagamento delle pese di entrambi i gradi di giudizio che liquida in complessivi euro 1.000,00
oltre accessori di legge.
Firenze, 18 febbraio 2019